Si avvicina il Natale, cioè il simbolo dell’amore e dell’amore di Dio per l’umanità, dell’amore che il prossimo deve essere in grado di ricevere da noi e che noi dobbiamo donare al prossimo, riconoscendo in lui le fattezze della creatura e quindi del nostro fratello. Ebbene, alla luce di tutto questo, lasciate che faccia un piccolo elogio dell’amore come via verso l’Eterno. Sì, perché il vero amore è una porta che nel sensibile si spalanca verso l’Eterno. L’amore è per sua natura una potenza che resiste al nuovo, è durata, è fedeltà alla propria scelta. E, sotto questo riguardo, è forse la più importante esperienza dell’eterno che possiamo fare quaggiù, tra le pareti chiuse del sensibile. Ed è anche per questo, forse, che dall’altra parte si dà una struttura all’inimicizia tra la civiltà tecnomorfa e quanto classista dei mercati e della finanza, in cui tutto deve funzionare e nulla deve essere vero.
La nostra è una società che non ama e che, anzi, non è più in grado di riconoscere e di valorizzare l’amore. Non soltanto perché l’amore è sempre disinteressato e donativo, ma anche perché si oppone alle logiche del consumo mercantile. Lo fa in ragione del fatto che interrompe lo scorrere del tempo, irrompe nel tempo e cerca di far valere l’eterno nel piano immanente della temporalità.

L’amore vero, infatti, anche tra noi che siamo mortali, resiste al tempo. E, di più, nel tempo introduce la sola esperienza possibile in questa vita dell’Assoluto e dell’Eterno. La sola possibile sul piano dell’immanenza, del mondo sensibile. Quel legame d’amore con l’altro che viene inteso come l’unico insostituibile, “finché morte non vi separi“.
Secondo il tema già platonico, la bellezza è la porta dell’amore ed è la maniera con cui più direttamente il piano trascendente dell’eterno irrompe nel finito, nell’immanenza. Lo attraversa rovesciandone le logiche.
Ecco perché l’amore figura sempre come una promessa di eternità, pur negli spazi finiti e blindati della temporalità mondana. In ciò sta l’essenza vera dell’amore come desiderio di durare, di sopravvivere al tempo. Per questo gli amanti si giurano sempre fedeltà eterna, anche se, come diceva un noto film di qualche anno fa, “L’amore è eterno finché dura”.

L’amore però dissolve il tempo come intuizione del divenire e fa valere un nuovo, una novità assoluta. Che per sua essenza però si configura come fedeltà: un medesimo vissuto come se fosse sempre nuovo. Il vero amore è una scelta sempre ripresa, che si consolida e che dura, a differenza di ciò che avviene nella società delle merci che rincorrono l’una con l’altra la ricerca ininterrotta di un nuovo che poi in realtà è sempre il medesimo, cioè la ricerca del consumo sempre uguale a se stesso.

Nell’amore noi scegliamo la novità della persona che ci sta di fronte, innamorandocene e riconfermandola sempre di nuovo. Ecco perché l’amore è fedeltà al medesimo, fedeltà alla propria scelta. A differenza della società usa e getta che tratta gli enti come utilizzabili nell’immediatezza. L’amore sceglie invece potenzialmente per l’eterno.
Con l’amore noi scegliamo nell’altro la durata e quindi l’altro si fa insostituibile, a differenza della merce usa e getta. Ancora, nell’altro cerchiamo una porta verso l’eterno, costruendo con lui una relazione pensata come se dovesse durare in eterno. Ecco perché il vero amore aspira a durare, a non dissolversi. Ed ecco perché larga parte di quello che oggi viene impropriamente chiamato amore è semplicemente godimento usa e getta erotico dell’altro.

L’uomo che ama sceglie sempre da capo, conferma la fedeltà alla propria scelta. Il vero amore cresce mentre si consuma, cosicché nel vero amore dell’altro possiamo dire ciò che Battisti diceva in una sua famosa canzone: “Ancora tu”:
Ancora tu, la scelta sempre rinnovata, la fedeltà alla propria scelta. Questo è il vero amore. Ed è così importante tornare ad amare in un’epoca come questa, dove pochi sono in grado di concepirlo, e soprattutto di praticarlo.

Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro