Una rivalità che aveva segnato un decennio, quello degli anni ottanta, per poi riproporsi nella Serie A del terzo millennio, in un calcio italiano già cambiato, ancora ricco e disattento ai segnali di impoverimento, di involuzione economica. Juventus – Roma è da sempre un romanzo popolare, perennemente aperto per l’aggiunta di nuovi capitoli, episodi polemiche.

Da sempre perché gli anni sono tanti, ormai. Ma quand’è che tutto è cominciato? Quand’è stato che la Roma è diventata interlocutrice accreditata, non episodica, quindi detestabile avversaria per contendere il vertice alla società bianconera, negli ultimi decenni dello scorso secolo? – Fin quando eravamo settimi eravamo simpatici a tutti -: basterebbero queste lapidarie, scarne parole di Dino Viola, il presidente che ha modificato geneticamente il dna della storia romanista, per trovare una risposta e, conseguentemente, scovare l’episodio che ha funto da confine tra un prima e un dopo, tra il vivacchiare di immarcescibile passione popolare e lo scoprirsi legittimati all’ambizione. Di più: alla vittoria.

L’episodio non è il gol, mai esistito per gli almanacchi, di “Ramon” Turone, che una prima scossa alle fondamenta della mediocrità l’aveva data, ma rischiava ancora di essere relegato come il più macroscopico rimpianto prima del ritorno all’anonimato consueto. L’evento spartiacque è successivo di qualche mese, con lo scambio di battute ancora caldo tra l’Ingegner Viola e il geometra Boniperti.

È il primo giorno di novembre del 1981, al vecchio “Comunale” torinese, oggi casa del Toro. Dopo un primo tempo difficile per la Juventus, al quarto giro di lancetta nel corso della ripresa una fuga di BrunoConti – rigorosamente scritto e pronunciato tutto attaccato – sorprende Scirea: il cross in mezzo sembra dover e poter essere gestito da Brio, o da Zoff. O da nessuno dei due? Lo stopper non rinvia, come il portiere si aspettava; la palla resta lì dove Sua Maestà Paulo Roberto Falcão ha avuto la pazienza di appostarsi: in punta di scarpino, l’uomo che per la storia della Roma è stato più evolutivo di Cristoforo Colombo per quella delle rotte oceaniche, deposita lo zero a uno alle loro spalle. Le parate di Tancredi preserveranno il risultato fino al triplice fischio di Paolo Casarin. Era dal 1967, con un gol di Fabio Capello, che la Roma non portava via l’intera posta da Torino. Ma in quella occasione si era trattato di un evento episodico, per quanto prestigioso. Il gol di Falcão è invece una pietra angolare per l’edificazione di un modo inedito di ipotizzare il futuro romanista da quel momento in poi. La Roma è diventata definitivamente antipatica.

Paolo Marcacci