Calcisticamente parlando fu un senatore della Roma dello scudetto guidata da Fabio Capello; vanta anche 25 presenze nella Nazionale: l’ex presidente dell’Associazione italiana calciatori (2011-2020) ha fatto tutto ciò che non era più lecito attendersi da un candidato nell’era della politica dei proclami virtuali sui social: ha stretto migliaia di mani, ha girato con moto incessante – come quando giocava –  nel territorio di Verona e della provincia, ha evitato ad arte i palchi e la ribalta tv e quando big nazionali sono giunti in riva all’Adige non li ha affiancati nelle piazze per i momenti pubblici («li ho incontrati privatamente»).

È stato il candidato dal “basso profilo” che ha evitato i selfie con i leader di partito, non ha affidato le sue chance ai social e meno che mai alla tv. E anche per questo, alla fine ha vinto: un risultato sorprendente per una città come Verona, dove il centrodestra regnava incontrastato dal 2007, dopo l’ultima giunta guidata da Paolo Zanotto. Poi il Pd e i partiti progressisti non avevano più toccato palla, sempre per via di metafora. Per tornare a guidare la città dell’Arena ci è voluto un candidato civico, ex vero “uomo di fatica”, un po’ come i mediani della canzone di Ligabue: Damiano Tommasi, nato a Negrar di Valpolicella nel 1974, cresciuto tra parrocchie e oratori («vengo da una cultura cattolica progressista»), padre di sei figli (da 9 a 24 anni).

Lo stile sobrio, mirante al “fare”, ha caratterizzato la sua campagna elettorale fino alla vittoria di domenica 26 giugno: «Sono contento – ha detto – perché, a prescindere dal risultato, siamo riusciti a parlare di politica senza per forza attaccare l’avversario, senza denigrare, senza insultare». Una mosca bianca, insomma. 

La sua candidatura è partita da lontano: l’ufficializzazione era arrivata a ottobre 2021, anche se l’appoggio del Movimento 5 Stelle è maturato solo nello scorso mese di aprile. Oltre al Pd e al M5s ha mostrato fiuto anche Carlo Calenda, che ha investito anche lui sul nome di Tommasi per cambiare faccia a Verona. Tutti riuniti nella coalizione “Rete!” che, dopo una vittoria clamorosa nel feudo della destra, potrebbe rilanciare l’onda progressista sotto il segno del campo largo.

Uno degli intuibili motivi della vittoria? Si è presentato agli elettori, lui già un outsider civico mai iscritto a un partito, con una squadra trentasei “volti nuovi”, persone che non avevano mai avuto precedenti esperienze di partito. 

Un’idea di quella che potrà essere la sua operatività da primo cittadino l’aveva già fornita ai cittadini scaligeri: Tommasi da tempo porta avanti la conduzione di una scuola bilingue paritaria alle porte di Verona ispirata agli insegnamenti di don Milani. «Lettera a una professoressa di Barbiana – ha più volte ricordato – è il mio libro preferito, quello che mi ha cambiato la vita». Nel programma che lo ha portato a diventare sindaco di Verona ha inserito una frase del priore di Barbiana: «Ho imparato che il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è politica. Sortirne da soli è avarizia». 

Paolo Marcacci