Nel recupero dei crediti vantati dalla pubblica amministrazione occorre aggiungere una variabile rilevante: il tempo. Si tratta di depurare dai calcoli centinaia di miliardi di dubbie esigibilità perché realisticamente non più recuperabili dallo Stato. Se si vuole affrontare il dibattito economico non in modo bilancistico e contabile bisogna domandarsi perché tante imprese non siano riuscite a sostenere quel livello di pressione fiscale.

La risposta, depurata da giudizi morali inopportuni, quando si assiste ad una logica di grandi numeri e per un arco temporale così rilevante di oltre vent’anni, appare evidente perché il sistema di tassazione italiano non è né equo né più sostenibile. Cerco di sfatare una delle affermazioni del mondo politico che parla di recupero delle somme dovute allo Stato. In un arco di circa vent’anni vi sono ancora debiti dovuti dai contribuenti, tra il 2000 e il 2005, che hanno una stima di recupero inferiore al 4%.

Di quella montagna di soldi, molti sono fuffa e quindi il bilancio dello Stato è falso se si applicassero le regole contabili. La motivazione va cercata nel modello economico che noi abbiamo adottato negli ultimi vent’anni e soprattutto quello che sta succedendo negli ultimi mesi. Non è solo la questione dell’approvvigionamento delle materie e dei prezzi, ma è una situazione che perdura da un ventennio.

Il sistema, questa è la verità, non è né equo, perché le piccole imprese pagano più di quelle corporate, ma soprattutto non è più sostenibile perché il 95% di quelle piccole e micro imprese non riesce a reggere il peso di una burocrazia pubblica e di una spesa sociale. Continuare, facendo finta di nulla, dicendo che la colpa è degli imprenditori e dei liberi professionisti non è cattiveria ma stupidità.

Malvezzi​ Quotidiani, pillole di economia umanistica con Valerio Malvezzi