Idioti lo si è stati spesso, nei nostri stadi, da sud a nord: per quello che si è scritto, gridato, cantato. Ne continuiamo a prendere atto, contemplando quella irreversibile quota d’imbecillità che abita il pubblico del nostro calcio.

C’è voluto uno sforzo supplementare per essere idioti al quadrato e, nonostante una concorrenza agguerrita e fantasiosa, l’hanno spuntata alcuni (mai così pochi come ci piacerebbe pensare) tifosi del Verona, che tra l’altro si sentono titolati per parlare a nome di tutta una curva. In qualche metro di stoffa, sono riusciti a mescolare quanto di più bestiale possa offrire oggi l’attualità con un evergreen del becerume da stadio, ossia l’odio – non solo calcistico – verso Napoli, il Napoli, i suoi tifosi. Utilizzare in un colpo solo i temi del dolore del popolo russo e di quello ucraino, della guerra e degli ordigni che annientano popoli per auspicare una sorta di Vesuvio 2.0 è vomitevole da ogni punto di vista, ma questo è ovvio. Il fatto, cari autori, è che è pure tremendamente ridicolo, perché dietro la vigliaccata notturna c’è anche la pretesa di apparire creativi da parte degli individui che hanno realizzato lo striscione; miserabili, oltretutto, come tutti quelli che raccattano qualche conoscenza di qua e di là grazie ai meno ignoranti che hanno nel branco (coordinate geografiche, motti filosofici e altra roba da ricerca rapida su Wikipedia) e pretendono per quello di apparire meno bestie di quello che sono.

Un aspetto deve essere chiaro: non debbono indignarsi solo i napoletani; anzi, chiunque non sia partenopeo deve sentircisi almeno per un’ora, un giorno d’indignazione, perché chi scrive uno striscione del genere manca di rispetto a tutti quelli che vogliono continuare a sentirsi civili, corretti, umani e al tempo stesso non scemi, non così stupidi, non irrimediabilmente coglioni come quelli che si mettono insieme per concepire e realizzare uno striscione del genere. Anche perché, chi scrive oggi una roba del genere non avrebbe mai potuto concepire un colpo di genio come “Giulietta è ‘na zoccola”.

Paolo Marcacci