“Signorile e malinconico, Fonseca raccoglie qualche altro consenso, ma sotto la foschia di San Siro sembra sempre di più il Vecchio Frac di Modugno”.

Se vogliamo, la cosa più intrigante, in partenza, è il “nome” della partita, perché Inter – Roma rimanda direttamente al cognome di Mourinho; come se poi ci fosse bisogno del calendario per evocarne la presenza prima ancora che si manifesti: gelati, murales, citazioni calcisticamente dotte o slogan passati alla storia; la città è già piena di lui, non soltanto sulla sponda giallorossa, a onor del vero.

Curiosità e divagazioni, in una serata che ha l’ufficialità del campionato e più di un contenuto assimilabile a quelli di un’amichevole. Certamente per l’Inter, non soltanto in quanto già Campione d’Italia ma anche e forse ora soprattutto per le sforbiciate che Zhang pretenderebbe di dare alle mensilità di stipendio. Anche per la Roma, pensano in molti, la serata e l’impegno presentano note di rilassatezza. Anche se…anche se. Il fatto è semplice, quantomeno come proiezione eventuale: l’Europa League ancora non è fuggita del tutto, quanto a possibilità di classifica e incroci che si possono rivelare sorprendenti. Ma questo discorso lo aggiorneremo in tempo reale al termine dei novanta minuti contro i nerazzurri.

Non tutti ricordano, per esempio, che se la Serie A giocasse sempre di mercoledì, stando agli ultimi nove precedenti, la Roma sarebbe prima in classifica. Si direbbe tutto e il contrario di tutto, al termine del primo tempo: un’Inter distratta all’inizio, una Roma subito dopo talmente remissiva da consegnarsi ai nerazzurri che con un paio di accelerazioni trovano il doppio vantaggio. Ci si poteva attendere un’Inter rilassata; non certo una Roma così lenta e statica da apparire rinunciataria, quando aggredita. 
L’unico, tra i giallorossi, che provi a tracciare il solco che nessuno poi percorre è Mkhitaryan; forse per questo prima della mezz’ora si mette in proprio e, con la rifinitura di Dzeko, piazza il tracciante che dimezza lo svantaggio.

Poca Roma, tutto sommato, per essere quella delle due che doveva apparire motivata per un residuo di obiettivi, pur se l’avversario si chiama comunque Inter, al netto delle ubriacature e dei malumori stipendiali. 
Per gran parte del secondo tempo la Roma prova a riprendersi la partita: gli uomini di Fonseca meriterebbero il pareggio per presidio della metà campo avversaria e nitidezza delle occasioni, due in particolare: una girata di sinistro di Dzeko che batte sotto l’incrocio e un inserimento di Cristante perfetto per scelta di tempo, con palla a lato. Nelle cose migliori della Roma, in un moto o nell’altro, c’è di mezzo Mkhitaryan.
Nel frattempo, bel battibecco tra Lautaro, infastidito per essere entrato e poi uscito e Conte, che prima fa finta di niente e poi lo redarguisce in maniera ferma e plateale.

Nella Roma cresce Karsdorp, tenta di ricavarsi nicchie di protagonismo El Shaarawy subentrato a un – per l’ennesima volta – anonimo Pedro, gioca tanti palloni Darboe, anche rischiando qualche danno a ridosso dell’area.
Meritare non equivale a realizzare; non sempre perlomeno. Alla fine un’Inter ridiventata un pochino vera con l’ingresso di Hakimi porta a casa altri tre punti, mentre la classifica continua a ricordare alla Roma tutti i dati negativi di una stagione con troppi gol presi, troppi punti lasciati per strada, troppi scontri diretti o presunti tali che l’hanno vista soccombere. 
Alla fine arriva pure il terzo dell’Inter, con Lukaku che riceve un pacco dono da Hakimi. 
Signorile e malinconico, Fonseca raccoglie qualche altro consenso, ma sotto la foschia di San Siro sembra sempre di più il Vecchio Frac di Modugno.

Paolo Marcacci