Fine settimana blindati, lockdown totale nelle zone rosse, spostamenti limitati, regole più stringenti: così il Governo si prepara a inasprire le misure di contenimento al covid-19. Le continue sollecitazioni del mondo scientifico, le preoccupazioni per un sistema sanitario in affanno e pre-allerta alla fine spingeranno Palazzo Chigi ad adottare un nuovo Dpcm, a pochi giorni dalla firme dell’ultimo provvedimento.

Gli esperti sono chiari sul quadro epidemiologico in corso: pare di essere alle porte della terza ondata, perciò come andrà dipenderà dalle contromisure che prenderemo ora. “Mi auguro che ci sia una presa di posizione di quello che sta avvenendo nel nostro Paese”, ha dichiarato il professore dell’Università Cattolica Roberto Cauda ai microfoni di Luigia Luciani e Stefano Molinari.

Ecco l’intervista al Prof. Cauda a “Lavori in corso”.

“L’augurio sarebbe quello che fosse tutto risolto ma, ovviamente, così non potrà essere. Io mi auguro che ci sia una presa di posizione di quello che sta avvenendo nel nostro Paese e auspico che ci sarà una presa di posizione in modo responsabile da avere un innalzamento delle misure, soprattutto in quelle aree dove è maggiore la circolazione del virus. L’augurio è che queste chiusure non siano fine a se stesse, ma trovino la partecipazione delle persone e che la vaccinazione prosegua il più speditamente possibile.

Se ci sono differenze tra territori? Sì, è un po’ la giustificazione dell’Italia a colori. Credo che in questo momento la bussola per decidere cosa fare o non fare sia l’occupazione dei posti letto in terapia intensiva. Le chiusure dovrebbero essere modulate, i colori vanno in questo senso sulla base dell’impatto che ha nelle singole regioni, aree e città riguardo la diffusione del virus. Quello che ha cambiato la diffusione sono le varianti.

Io non prevedo un lockdown generalizzato, né lo auspico, perché probabilmente avrebbe un’unica ragion d’essere solo se avessimo talmente tanti vaccini da poter bloccare per due settimane la nazione, così come avvenuto in Israele, probabilmente ci risveglieremmo tra due settimane con una situazione migliore. Questo non è possibile farlo perché i vaccini non sono così capillarmente disponibili quindi dobbiamo modulare le aperture e le chiusure.

Sugli aspetti medici oggi sappiamo molte più cose. Ad esempio che il numero di soggetti contagiati è molto vicino a quello reale. Con oltre 300mila tamponi al giorno abbiamo una migliore percezione di quella che è la realtà. A livello di trattamento noi possiamo prevedere meglio i casi che vanno incontro a forme più gravi. Io penso che la riduzione significativa della letalità è dovuta ad una migliore conoscenza, che allora non poteva esserci, con l’impiego più razionale dei farmaci.

Ci sono delle carenze. Bisogna avere il coraggio di ripensare la sanità in Italia, e forse in Europa. Perché noi abbiamo vissuto in questi anni una sanità ospedalo-centrica ossia tutta proiettata sugli ospedali. Quello che manca è un coordinamento. Il medico sul territorio molte volte è lasciato solo. Una volta che sarà passato tutto si dovrà pensare a un potenziamento della medicina del territorio”.