– In un certo senso, mi sono sentito un privilegiato, con la mia agenzia di doppiaggio (la Pumais 2, ndr) non ci siamo praticamente mai fermati; abbiamo subito attrezzato gli studi, rendendoli agibili attraverso una serie di dispositivi, per poter lavorare in sicurezza. Il 5 aprile eravamo già tornati operativi. –

Quattro chiacchiere con Francesco Venditti per riflettere assieme a lui sul vero e proprio calvario che il mondo dello spettacolo sta vivendo; sulle ipotesi per il futuro, sulle riflessioni e sul destino di un’industria che vede impegnati centinaia di migliaia di lavoratori, tra artisti e maestranze.

A parte il tuo impegno di doppiatore, cosa pensi quando immagini un ritorno sul palcoscenico? 

– Lasciami dire una cosa, parlando del mio impegno a teatro, con il gruppo Formi 4, che ho messo insieme ad altri tre colleghi e intitolato al nostro maestro Daniele Formica: non so quando torneremo a teatro ma soprattutto non so quanta voglia ci sarà e nemmeno quale spirito avrò… –

Fammi capire meglio…

– Sto cercando di capirlo anche io. Sono cambiato radicalmente, non saprei nemmeno dire come. Di certo mi mancano tanti aspetti di quel rito collettivo che è costituito dall’andare in scena; poi, forse soprattutto, mi manca l’adrenalina che dà la “gara” con noi stessi per essere bravi, per piacere al pubblico di ogni serata. –

Per le riflessioni che stai facendo in questo periodo, hai immaginato uno scenario futuro per il vostro mondo? 

– Guarda, io la scorsa estate ho anche avuto la fortuna di girare un film che vedrete a breve: “Svegliati amore mio” assieme a Sabrina Ferilli; abbiamo lavorato in assoluta sicurezza, con controlli e attenzioni capillari, tamponi continui per tutti sul set. Quindi si può fare, se si vuole si riesce a lavorare. 

Detto questo, uno scenario non so prevederlo, ti posso dire che un sacco di colleghi, ma direi un sacco di artisti in generale, sono nella merda. – 

Hai immaginato qualche soluzione, quantomeno per alleviare la crisi dovuta alla pandemia? 

– Ovviamente non posseggo la soluzione ideale, ho però pensato che sarebbe stato bello e utile pensare, nei mesi scorsi, a un utilizzo alternativo delle sale cinematografiche e teatrali: raduni, conferenze, assemblee di quartiere e anche, perché no, lezioni in presenza per tanti studenti, di più scuole,  raggruppati insieme osservando i distanziamenti di rito e tutte le procedure di sicurezza. –

Si sente sempre più spesso di artisti che sono costretti a cambiare lavoro

– Questo purtroppo per tanti sarà una necessità, io penso anche un’altra cosa: ho la sensazione che si voglia far cambiare il modo di lavorare di tante persone, di tante categorie. 

Ho conosciuto tante persone che hanno avuto il COVID, anche tanti attori e tanti doppiatori, come sai. Non sarò mai, quindi, un negazionista o uno scettico. Detto ciò, ci sono aspetti che non mi tornano o, meglio, ci sono stati quelli che da questo stato di cose hanno tratto vantaggi innegabili. –

Cosa si poteva fare, secondo te, che non si è fatto?

– Sai, non vale soltanto per l’ambiente dello spettacolo, il mio è un punto di vista sociologico che potrebbe coinvolgere tutti noi italiani: siamo un popolo, in generale, che non scende in strada a manifestare per i propri diritti, per far conoscere le problematiche che sta vivendo. In questo senso, per quanto riguarda l’ambiente dello spettacolo mi aspettavo che si mettesse in atto un movimento, che facesse conoscere a tutti la grande crisi che ci è piombata addosso, a capo del quale avrei voluto vedere, in prima fila, quelli che hanno un peso e un impatto tali da scuotere l’opinione pubblica: i big, le cosiddette star. –

C’è qualcosa che il vostro mondo ha imparato dalla pandemia? 

– Secondo me no, perché in fondo più che da imparare c’era in primo luogo da incazzarsi, poi da mettersi insieme per riflettere e magari partorire delle idee…ecco: quel che è mancato sono state le idee. Anche per farsi trovare preparati per gli ipotetici scenari futuri: che ne sappiamo di come proseguirà con queste varianti, con queste mutazioni del virus? Bisogna pensare a tutta una serie di possibili alternative per fare spettacolo eventualmente anche attraverso canali e modalità nuove. –

A te, personalmente, cosa è mancato di più?

– Fammi prima fare una premessa: io ho riscontrato anche qualche effetto positivo, per esempio ciò che definisco “la riscoperta del tempo”. Ti faccio un esempio: ora quando stacco dai turni di doppiaggio, all’ora di pranzo del venerdì, prendo mio figlio e ce ne andiamo a visitare musei, o gallerie d’arte. La potrei definire anche “una nuova politica del tempo”. –

Dicevamo di cosa ti è mancato…

– Più di ogni altra cosa, potrà sembrarti banale, la possibilità di fare foto con la gente, con tutti quelli che quando ti incontrano ti chiedono uno scatto: incrociare spontaneamente il consenso di quelli che ti seguono, che ti apprezzano per le emozioni che trasmetti. Era ed è, sperando che torni a esserlo in futuro, l’essenza della vita di un artista. – 

Paolo Marcacci