Si è registrata in questi giorni un’altra illustre vittima della nuova barbarie del culto regressivo del progresso.
Segnatamente, una nuova vittima di quella subcultura che va sotto il nome anglofono di “cancel culture“.

La cosiddetta cultura del cancellare, sorta in seguito ai moti contestativi del “Black Lives Matter”, ha come unico obiettivo la distruzione di tutti i simboli della civiltà occidentale, di tutte le vestigia storiche del nostro passato, giudicate incompatibili con la nuova ortodossia del politicamente corretto ed eticamente corrotto.
In sostanza la cancel culture, con una nuova forma di imperialismo storico di chi dal presente pretende di giudicare le epoche storiche passate, stabilisce che tutte le forme storiche della nostra cultura sono illegittime in quanto non adeguate al nuovo ordine mondiale, salutato come il non plus ultra del progresso e dell’emancipazione.

Ecco allora che la cancel culture, in maniera neo-orwelliana, chiama progresso la barbarie, chiama “civiltà” il nichilismo onniavvolgente.
La nuova vittima di questa barbarie è il filosofo scozzese David Hume: l’università di Edimburgo ha scelto di cancellare il suo nome dalla torre dell’ateneo.

Hume, sia chiaro, può essere per più versi criticato anche severamente sul piano filosofico: è ciò che io stesso provai a fare anni fa nel mio libro “Minima Mercatalia”, nel quale contestavo parecchi aspetti della sua filosofia.
I filosofi si confutano, non se ne abbattono le statue. Si criticano con il logos, non si distruggono. Si contestano con la ragione socratica, non se ne abbatte l’immagine.

Possiamo dirlo senza tema di smentita: il rimbecillimento di massa pare davvero essere compiuto sotto il cielo. Si è realizzato ciò che Oswad Spengler definì “il tramonto dell’occidente”.
E non sfugga che a cancellare il nome di David Hume non è stato un gruppo di talebani, non una rozza cerchia di ignoranti: un’università ha compiuto questo scellerato gesto.
La più cogente prova di ciò che sosteneva il mio maestro Costanzo Preve, la nostra è la prima epoca in cui gli intellettuali paiono essere più stupidi della gente comune.

Si apprende anche dagli errori del passato, già solo per non tornare a commetterli. E chi pretende di cancellarlo, non avrà nulla da imparare da esso, avendolo rimosso: sarà anzi pronto a ripeterne gli errori.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro


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