In economia umanistica sentiremo parlare soltanto di scuole, di università, di ospedali, ponti, strade, di lavoro necessario a far funzionare tutto questo. Non di discorsi aridi di bilanci, come se il denaro e non la vita dell’essere umano fosse il fattore scarso in natura.

Tutto questo però necessiterebbe di un valore umano che gli economisti di oggi hanno perduto: l’umiltà. L’umiltà di comprendere la realtà, di andare in un comune mercato di periferia per capire i problemi della povera gente, di non chiudersi in dotti simposi a trattare di cose lette sui libri e scritte da studiosi per altri studiosi generalmente incapaci di realizzare una qualsiasi attività economica.

Eppure, altezzosamente, insegnano agli altri cosa fare e cosa non fare e indicano ai governi le ricette solitamente di rigore e sacrificio… per gli altri, non certo per le loro alte carriere.

Ce l’ho con gli economisti da biblioteca, che sono il 99%, che l’economia l’hanno letta sui libri e ne hanno confezionati altri per fare carriera accademica. Vanno dando consigli al mondo, ma non hanno mai messo una firma su un conto in banca, non hanno mai creato un’impresa o rischiato il capitale della famiglia. Non sanno cos’è un’impresa eppure insegnano, parlano e pontificano.

Servono persone che riportino la centralità del discorso sull’impresa come centro di produzione del denaro economico e del trasferimento di questo denaro alla società.

Malvezzi Quotidiani, comprendere l’Economia Umanistica con Valerio Malvezzi


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