E’ noto a tutti: il calcio è anche affar politico, ma dopo ieri sera sembra esserlo ancora di più.
Oltre che sulla vittoria del Napoli, la finale di Coppa Italia ha acceso i riflettori su Sergio Sylvestre, a cui è stato affidato l’onore e l’onere di intonare l’inno di Mameli prima del fischio d’inizio, come di consuetudine in ogni finale di coppa.
Una notorietà non certo positiva a causa della performance che, oltre a lasciar desiderare per intonazione e parole, ha avuto delle sfumature politiche che non tutti hanno gradito.

Uno dei quali è Daniele Capezzone, giornalista de La Verità, che in proposito è stato molto polemico nel post-partita: “Ieri sera un #SergioSylvestre destinato a diventare idolo delle sardine ha:
– Saltato molte parole dell’inno nazionale,
– alzato un pugno chiuso,
– gridato minacciosamente: ‘No justice, no peace’. Già che c’era poteva recarsi al vicino Stadio dei Marmi e sfregiare un po’ di statue
“.
Questo il tweet infuocato di stamattina, un’opinione a mente fredda quella di Capezzone, che difatti ha ribadito anche a ‘Lavori in Corso’.
Ecco il suo commento ai microfoni di Stefano Molinari e Luigia Luciani.

Capezzone su Sylvestre ► “Un disastro. Provate a scempiare l’inno in Inghilterra e vediamo se vi applaudono”

Ieri due cose non sono andate bene. Una è la performance in sé. Inutile girarci intorno, se un professionista sbaglia performance non gli si possono fare i complimenti.
Poi ci aggiungi anche il carico da 11 della politicizzazione finale, il pugno chiuso, il “no justice no peace”, l’urlo, eccetera… diciamo che non mi è sembrato un uno-due felicissimo.

Non mi permetto di fare ipotesi complottistiche, però se uno ci ragiona, come ci dicevano i professori di latino quando facevamo la versione: “Perché hai tradotto così?”.
Allora io mi domando sempre: perché ha fatto questa cosa?
Ipotesi 1: perché gli è venuta sul momento. Mah.
Ipotesi 2: perché magari qualcuno sul momento gli ha detto “senti Sergio, facciamo una cosa grossa, che andiamo sui giornali, diventi l’eroe, politicizziamo ecc…”; naturalmente questo già è discutibile di per sé, perché l’inno nazionale dovrebbe restare fuori dalle contese tra sinistra e destra, ma a maggior ragione va male se poi lo si appoggia su una performance disastrosa. Così diventa un doppio autogol.

E’ evidente che se su 100 italiani lo conoscevano in 25 e di quei 25 qualcuno lo aveva dimenticato, ieri sera l’hanno ricordato tutti quei 25, e magari altri 25. In termini di notorietà l’esibizione ha funzionato, certo però che il saldo politico non mi sembra brillantissimo.

Confesso, l’argomento sia pro, sia contro non è convincente, meno che mai la nazionalità. Il punto è la sacralità dell’inno. Provaci tu ad andare nel Regno Unito a scempiare l’inno britannico, dubito che ci sarebbero poi sullo sfondo quei due signori rappresentanti dello sport ad applaudire come se tutto fosse andato alla grande. Anche loro non hanno fatto un gran figurone“.


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