Era nell’aria. Troppi segnali, negli ultimi mesi, avevano fatto capire che l’avventura in rosso di Sebastian Vettel volgeva al crepuscolo. Un conto, però sono i sentori del pubblico e della stampa, soprattutto quella specializzata; un conto è l’approdo all’ufficialità. Da questo punto di vista, ancora una volta, in Ferrari si poteva fare meglio. Nei modi, nei contenuti, soprattutto nei tempi. Questa stagione 2020, che si presentava anomala già prima dell’emergenza COVID, perché comunque sarà l’ultima della vecchia era, dal punto di vista tecnologico e regolamentare, ora a Maranello si complica anche in ragione degli equilibri nel team: Vettel è, da oggi, al tempo stesso un ex e una delle due guide del team. Ragionevolmente, potremmo supporre che sia diventato la seconda guida; di certo è lecito che lo supponga Charles Leclerc, che già lo scorso anno si era mostrato rampante e performante al punto tale da scuotere in maniera energica la gerarchia interna al Cavallino. Ecco perché si sarebbe dovuto ragionare, a livello comunicativo, sull’importanza della gestione del presente, ora che si avvicina l’inizio del Mondiale. 

Sui contenuti del comunicato e soprattutto su alcuni passaggi delle frasi di Binotto ci limitiamo a dire che, comunque sia andata, un quattro volte Campione del mondo, vincitore di quattordici gare in Ferrari e due volte secondo nel Campionato del mondo con la Rossa, dopo sei anni meritava maggiore enfasi e maggiore rispetto. Indipendentemente da ciò che si pensa del pilota.

Siccome dopo l’annuncio è già tempo di bilanci, inevitabilmente, vale la pena chiedersi: che pilota è stato? Sin dal suo arrivo, complice anche la nazionalità, è stato istituito il paragone più sbagliato e per lui penalizzante: quello con Michael Schumacher, che fu unico a livello prestazionale e che per cinque stagioni, va ricordato, poter contare su una Ferrari perfetta, la cui perfezione Schumi esaltava di gara in gara. Vettel si è scontrato con una Mercedes cannibalesca e con un Lewis Hamilton in crescita esponenziale, che nelle ultime due stagioni ha rasentato la perfezione e che, come se non bastasse, nei momenti topici ha sempre goduto dei favori della sorte, il che va inteso come una delle sfaccettature del talento dell’inglese, machiavellico nel saper sempre riconoscere la fortuna, nei vari frangenti, sapendola cavalcare. Detto ciò, quante volte la Ferrari ha dato la sensazione di poter mettere a disposizione di Vettel una monoposto realmente in grado di contenere il titolo alla Mercedes? Contiamo soltanto episodiche e fugaci suggestioni. Ricordiamo con molta più facilità un gap frustrante, in qualifica come in gara. Qualcosa ha sbagliato, Vettel, in più di un’occasione, non c’è dubbio. Non è stato perfetto in alcune partenze, non sempre ha retto la pressione di essere considerato il favorito dopo aver centrato alcune pole position, per esempio. Premesso questo, la sensazione è che abbia dato più lui alla Ferrari che la Ferrari a lui, in queste stagioni di schiacciante superiorità della casa e dei piloti di Stoccarda. Sempre ricordando che nemmeno Alonso era riuscito a portare il mondiale a Maranello e che l’ultimo titolo, con l’ultima macchina davvero performante, lo aveva conquistato il sempre sottovalutato Kimi Raikkonen nel 2007, prima che iniziasse, dopo la chimera Jenson Button, l’era di un certo Sebastian Vettel con la Red Bull. 

Paolo Marcacci