Il Prof. Andrea Ferretti, responsabile dell’unità di ortopedia-traumatologia dell’ospedale Sant’Andrea di Roma e medico della Nazionale italiana di calcio, è intervenuto telefonicamente all’interno della trasmissione ‘Radio Radio Lo Sport’.

In studio Ilario e Francesco Di Giovambattista. In collegamento tutte le nostre ‘Teste di calcio’ che hanno potuto confrontarsi e porre domande al Prof. Ferretti.

Professore come state affrontando al Sant’Andrea questa pandemia? In più la Regione Lazio ha reiterato fino alla fine del mese di maggio, causando sconforto in tantissime persone, lo stop alla visite ordinarie se non si è in situazione di grave emergenza. Come vi state comportando?

Dobbiamo distinguere due fasi. La fase dell’emergenza è stata quella in cui un po’ tutti gli ospedali sono stati coinvolti e quindi hanno subito l’impatto devastante di questa epidemia. L’esperienza un po’ in tutta Italia ha dimostrato che gli ospedali cosiddetti ‘misti’ con reparti Covid e reparti non Covid, chiamiamoli così, è risultata fallimentare. Nel senso che poi anche i reparti non Covid hanno finito per essere infettati. Quindi oggi, a mio parere, è necessaria una scelta diversa visto che il contagio sta diminuendo. Noi dobbiamo identificare dei reparti negli ospedali chiaramente Covid e altri ospedali nei quali è opportuno riprendere l’attività ordinaria. Ora non è questione di una settimana più o una settimana meno, ma ormai questa scelta è ineluttabile perché altrimenti non moriremo più di Covid ma rischiamo di morire o di ammalarci di tutt’altre malattie perché gli ospedali non sono in grado di far fronte a queste necessità che sono le stesse di prima. Noi abbiamo visto delle fratture con 15 giorni di ritardo, che è una cosa pazzesca”.

Cosa ne pensa di questa riapertura parziale di questi allenamenti individuali e, secondo lei, arriveremo ad una ripresa del campionato?

La decisione dovrà essere presa credo nei prossimi giorni, il Governo sta riesaminando il protocollo della ripresa degli allenamenti anche di squadra e dovrà affrontare eventualmente quello della ripresa dell’attività agonistica. Ci aspettiamo che in questa sua decisione che ovviamente riguarda un po’ tutti noi come appassionati, sportivi, persone coinvolte nel mondo del calcio, sia assistito dalla scienza nel modo migliore possibile. Parlando come studioso, come ricercatore credo che fino ad ora la scienza non abbia dato quelle risposte che ci si poteva aspettare che desse. Sono rimasto un po’ deluso, fino ad ora la scienza, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le società scientifiche secondo me non escono benissimo da questa vicenda. Ci sono tutte le attenuanti, però forse un po’ più di prudenza all’inizio ci sarebbe voluta. I nostri esperti si sono lasciati andare all’inizio a dichiarazioni un po’ di sottovalutazione e non vorrei che adesso, per una sorta di contrappasso, fossero spinti ad un’eccessiva prudenza”.

Se si tornasse a giocare delle partite ogni tre giorni con il caldo che arriverà tra giugno, luglio e agosto poi ci saranno le coppe con un periodo intensivo dal punto di vista delle prestazioni sportive, che tipo di accorgimenti o che tipo di rischi si corrono? Cioè bisogna alzare ancora di più il livello della preparazione, dell’attenzione?

“In Italia abbiamo la fortuna di avere una medicina dello sport all’avanguardia. Quindi credo che soprattutto le società di calcio professionistiche, che possono avvalersi di medici, di preparatori atletici e di staff sanitari all’avanguardia, stiano già studiando e valutando questi aspetti. Quello che ci dobbiamo aspettare è sicuramente un aumento del rischio di infortuni. Quindi la gestione del minutaggio, delle sostituzioni, del turn over è molto delicato e sarà difficile. Però è una sfida nuova alla quale tutto il mondo che ruota intorno al calcio si deve preparare, deve essere pronto ad affrontare con serenità studiando e preparandosi. E’ una sfida importantissima perché se noi in due mesi pensiamo di recuperare quello che abbiamo perso in quattro… d’altra parte non vedo alternative”.

Ammettiamo che si arrivi al dunque e che il Governo sia contrario alla ripresa del campionato. Il Governo però può suggerire, ma non imporre. Secondo lei la Fedecalcio avrà il coraggio di prendere le sue decisioni oppure sarà subordinata a quello che dice il Governo?

“Il Governo mi sembra intenzionato a dare delle direttive piuttosto stringenti. Vedo anche come si sta comportando rispetto alle regioni che stanno prendendo decisioni leggermente diverse. Quindi penso sia difficile per chiunque opporsi o prendere delle strade diverse da quelli che saranno gli orientamenti governativi onestamente”.

Pur riconoscendo la professionalità di medici importanti, che però possono sbagliare come chiunque, lei ha una teoria ben precisa portando l’esempio del calcio di rigore ripetuto. In cosa consiste questa teoria?

“Noi abbiamo una serie di esperti autorevoli che all’inizio dell’epidemia, quasi tutti, hanno sottovalutato i rischi. Questo secondo me, insieme alla negligenze e omissioni della Organizzazione Mondiale della Sanità, sono state in parte responsabili della diffusione dell’epidemia in Italia. Ripeto, attribuisco tutte le attenuanti ai miei colleghi, perché si trattava di una cosa totalmente sconosciuta. Però poi i dati hanno smentito questo iniziale ottimismo. Se io sbaglio un calcio di rigore poi nella stessa partita, dopo dieci minuti, me ne capita un altro. Ammesso che sono in grado di tirarlo, non vado certo sereno e quindi non ho quella obiettività che mi consente di giudicare la situazione. Forse sentire altri pareri, oltre a quelli dei soliti noti che appaiono in televisione, non sarebbe male”.

Sarebbe favorevole alla concentrazione del campionato nelle zone del centro Italia, cioè quelle dove i contagi sono stati minori. Per dire giocare tra Roma, Napoli, Firenze e concentrare il torneo in tre o quattro stadi per limitare spostamenti e viaggi?

“Poiché una eventuale ripresa del campionato si attesterebbe non prima di un mese da oggi, noi dobbiamo assolutamente ipotizzare che per allora la curva dei contagi se non si è uniformata più o meno in tutta Italia ci siamo vicini. Ad oggi abbiamo troppe differenze tra regione e regione, ma tra un mese e più noi dobbiamo assolutamente essere fiduciosi che le nostre misure e i comportamenti responsabili degli italiani ci portino a rischio di contagio veramente minimo. In questo potremmo ragionare con maggiore serenità e consentire anche gli spostamenti delle squadre con ragionevole sicurezza”.


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