Sono giunte alla nostra redazione due lettere firmate da Andrea Ferretti, Professore Ordinario di Ortopedia dell’Università La Sapienza, Direttore dell’Unità Operativa di Ortopedia dell’Ospedale Sant’Andrea e Medico della Nazionale Italiana di Calcio. Ve le riproponiamo così come ci sono arrivate, allo scopo di condividere con voi lettori di radioradio.it quanto il Professore ha gentilmente voluto scrivere per noi.
QUI la prima lettera, di seguito, la seconda delle sue due riflessioni. Buona lettura.

Avendo il mio reparto di Ortopedia al S. Andrea praticamente vuoto (la nostra disciplina è stata a livello mondiale la più penalizzata in assoluto dall’emergenza COVID; pochi traumi di ogni genere, poca propensione al ricovero di pazienti affetti da patologie croniche a riposo forzato nelle proprie abitazioni etc.) ho avuto modo di ripensare alla risposta del nostro Sistema Sanitario all’emergenza COVID-19.

Le crepe, le falle (qualcuno ha parlato di crollo, di naufragio) evidenziate in Lombardia possono trovare diverse spiegazioni. A parte eventuali errori od omissioni di singoli individui (amministratori, politici, operatori sanitari) sui quali però non mi sento di tirare addosso la croce in considerazione della straordinarietà dell’evento, preferirei soffermarmi su aspetti di carattere più generale.

La regione Lombardia è stata fra le Regioni Italiane che ha in modo più marcato interpretato la legge di Riforma Sanitaria (legge Bindi per intenderci che attribuiva fra l’altro alle Strutture Sanitarie la qualifica di Aziende) affidando gran parte della propria attività assistenziale ad organizzazioni private convenzionate (accreditate) con il Sistema Sanitario Regionale (SSR). Questo ha portato al moltiplicarsi (in Lombardia in primis ma non solo) di Cliniche che nel corso degli anni si sono certamente distinte per efficienza, anche se per alcune di esse il termine di “eccellenza” è stato attribuito con troppa fretta ed eccessivo entusiasmo.

Per chi non lo sapesse tali strutture forniscono prestazioni di vario genere (principalmente chirurgiche) a titolo gratuito per i cittadini ma che vengono rimborsate a piè di lista dallo Stato tramite le Regioni stesse. Ricordo perfettamente che all’atto della stesura della legge il concetto di Azienda, che implica necessariamente risvolti di tipo economico, non è mai stato gradito ma “subìto” da gran parte della classe medica perfettamente consapevole di quanto tale concetto applicato alla salute potesse risultare astratto e fuorviante. Tuttavia da allora la gestione economica delle diverse Aziende (anche pubbliche in realtà) ha finito col prevalere sugli aspetti più propriamente clinici, i quali avrebbero di gran lunga essere i primi e più importanti criteri di valutazione delle cosiddette Unità Operative Complesse (una volta Reparti) e dei loro Direttori.

Non c’è da stupirsi che vari Commissari Straordinari (incluso quello nominato tempo fa nella “Azienda” nella quale lavoro) siano stati incaricati di sanare il bilancio prima che di far funzionare a dovere l’Ospedale (come preferisco ancora chiamarli). Non trascurabile a proposito la Chiusura del reparto di malattie Infettive, riaperto poi in tutta fretta qualche settimana fa.

Personalmente rimango dell’idea che un Direttore (una volta chiamato Primario) e a seguire un Ospedale dovrebbe essere valutato sulla base di criteri essenzialmente clinici (numero e complessità dei casi trattati, complicanze, infezioni, eventuali colpe professionali accertate etc.). Invece a molti di noi ortopedici è capitato di venire chiamati verso ottobre novembre (talora anche prima) per sentirci dire di rallentare i ricoveri per gli interventi di artroprotesi in quanto il budget per tali interventi era già esaurito. In altre parole quasi a rimproverarci per quello che avrebbe dovuto rappresentare un merito per il medico che aveva evidentemente trattato con successo in 10 mesi (e quindi verosimilmente con poche complicanze, ridotta degenza, adeguato turnover dei pazienti) un numero di casi che la Regione stimava avrebbe operato in 12 (!)

Il criterio economico dovrebbe essere sicuramente tenuto in considerazione, in quanto elemento essenziale alla sostenibilità del Sistema, ma mai prevaricando quello clinico. Tempo fa, nel proporre l’introduzione di una nuova (e validata) tecnica chirurgica mi sono sentito domandare non tanto se ne garantivo l’efficacia ma a quanto ammontasse il DRG (la tariffa di rimborso prevista dalla Regione) per tale prestazione!

Tornando alla Lombardia ed ai rapporti con l’epidemia in corso, non posso non evidenziare che le Strutture Private di cui la Regione, così come altre del resto, si è dotata negli ultimi decenni hanno come loro obiettivo la realizzazione di un profitto e la cura delle persone rappresenta il mezzo per raggiungere il loro scopo. Ecco quindi che la loro impostazione è tale da dimostrare la massima efficienza di fronte a patologie e pazienti super selezionati che risultano economicamente remunerativi ma assolutamente inadatte ad affrontare situazioni di afflusso di pazienti affetti da altre patologie, come un’epidemia, per le quali non sono né professionalmente né organizzativamente preparate. E gli ospedali pubblici, dove sono finiti quasi tutti i malati affetti da infezione COVID-19 sono di conseguenza di fatto esplosi vedendosi esaurire rapidamente i letti di Terapia Intensiva.

In questa circostanza si è resa del tutto evidente la totale inadeguatezza di una legge che prevede due sistemi, di fatto concorrenziali ed entrambi sovvenzionati con denaro pubblico, a mio parere assolutamente inconciliabili ed incompatibili: uno, quello pubblico che dovrebbe avere una esclusiva finalità terapeutica e l’altro che utilizza tale mezzo per realizzare un profitto. La concorrenza, peraltro evidentemente scorretta e sbilanciata a favore del privato, è nei fatti, oltre che nell’ideologia, sancita dal fatto che le Case di Cura accreditate non possono ospitare medici del SSN nemmeno per lo svolgimento di prestazioni finalizzate allo smaltimento delle liste di attesa degli ospedali.

Personalmente non riesco a capire come nessuno dei Governi che in questi lunghi anni si sono avvicendati alla guida del Paese, non abbiano mai adeguatamente messo a fuoco questa fin troppo evidente dissonanza o se si preferisce palese contraddizione del sistema. Certo il sospetto che la politica (intesa non come ideologia, di cui forse si sente oggi la mancanza) ma come uomini e partiti abbiano avuto un qualche interesse nel mantenere tale situazione non appare del tutto infondato.

Ma l’aspetto più preoccupante riguarda il futuro della nostra professione. Quando, molti anni fa e prima della legge in questione, mi sono laureato e specializzato, un posto di ruolo in un Ospedale Pubblico rappresentava la massima aspirazione (ed un miraggio allo stesso tempo) di un giovane, nella ragionevole certezza che l’Ospedale rappresentasse il luogo ideale dove realizzare le proprie aspirazioni professionali. Oggi gli Ospedali si sono svuotati, i concorsi pubblici vanno deserti ed i giovani specialisti sono molto più attratti da un lavoro più comodo, sicuro e remunerativo presso strutture private, dove non si fanno turni notturni e festivi, dove non si corre il rischio di essere vittime di aggressioni, dove si trattano casi più semplici con minori rischi di rivendicazioni medico legali e dove, fatto questo di non secondaria importanza, si guadagna anche di più. Forse non ci stiamo rendendo conto che fra non molto non si troveranno più medici,e soprattutto chirurghi, che trattano alcune patologie o perché li espongono a rischi eccessivi o molto più semplicemente perché non sono sufficientemente remunerative (!)

Ritengo oramai indispensabile porre mano ad una riforma del SSN, troppe volte e quasi mai a ragione definito il migliore al mondo, che rimetta al centro i pazienti e gli operatori sanitari, che hanno dimostrato ancora una volta  in questa occasione la vera essenza della Medicina, pagando a carissimo prezzo la loro abnegazione.

Come Professore Universitario e Direttore di Scuola di Specializzazione ho un costante contatto con i giovani ai quali devo insegnare ma dai quali devo anche sempre imparare qualcosa, ed in primis conservare l’entusiasmo e la passione per la professione che hanno e che abbiamo scelto. L’ultimo episodio risale all’inizio proprio della epidemia quando, in attesa dell’ondata di piena che ci aspettavamo travolgesse anche il Lazio, stava maturando l’ipotesi che anche gli specializzandi di altre discipline potessero essere impiegati nei reparti COVID al alta contagiosità. La risposta che è  ancora scolpita nella memoria “Professore, può contare su di noi” la dice lunga sul patrimonio di valori che dobbiamo assolutamente preservare.

Andrea Ferretti