Giovane, in salute, ipocondriaco e salutista. Eppure s’è beccato il Coronavirus. Ed è positivo da oltre 30 giorni.

“Quando, alle prime notizie sulla malattia, ho comprato una mascherina da 60€, i miei amici mi dicevano che esageravo…”

Parliamo di (e con ) Alessandro Politi, giornalista ed inviato de Le Iene, che ai primi di marzo scopre di essere positivo al COVID-19. La vicenda è simile a molte altre ascoltate in questo periodo: qualche giorno di stanchezza e sintomi influenzali, febbre altalenante, nessun “allarme” . Se non che, da buon giornalista e con responsabilità civica (per il mestiere che fa è necessariamente a contatto con molte persone che potrebbe infettare se positivo), decide di vederci chiaro e insiste, ottenendo un tampone nonostante la lieve sintomatologia non lo prevedesse.

Esito: positivo.

E tutti i successivi tamponi fino al 3 Aprile sono positivi. Oltretutto sintomi sono scomparsi immediatamente.

Tralasciamo le “stranezze” di una seppur lieve sintomatologia che sarebbe stata non verificata senza l’insistenza del paziente, del “ruolo” di Alessandro in una redazione famosa che presumibilmente ha permesso una “forza” particolare nell’insistere e di un protocollo che, nei primi giorni di caos (7 marzo) poteva essere più stringente, il messaggio di Alessandro è articolato su due livelli e parte dal fatto che i suoi sintomi sono scomparsi nell’arco di due giorni.

Il primo è umano: la quarantena (per malati e non) è una precauzione necessaria che però ti lascia a casa in tutti i sensi. E le ricadute psicologiche come ansia, stress, depressione possono essere devastanti. Ebbene  individuare il numero telefonico e/o l’email per richiedere supporto psicologico (che esistono e sono a questo link ► Covid-19, numeri di supporto psicologico) è stato un onere totalmente a carico di Alessandro. Come lui, tanti sono malati e necessitano di un supporto che potrebbe e dovrebbe essere molto più pubblicizzato.

Il secondo livello è del cittadino malato: in assenza di tamponi le linee guida dell’OMS prevedono 15 giorni di incubazione e quindi di quarantena e poi si è considerati “liberi”. Tenendo presente quanti hanno sintomi (anche lievi) e sono in isolamento senza ottenere il tampone che Alessandro ha avuto grazie alla sua tenacia, quanti sono quelli che dopo 15 giorni riprendono dei contatti, anche in famiglia, ma sono ancora positivi ed infettanti?

Per rispondere a questa domanda, adatta più ai virologi che ai giornalisti, si potrebbe pensare di allungare il tempo considerato virale per il coronavirus? Non più 15 giorni ma 30, 40?

Qui si ferma la riflessione di Alessandro. Ed è un punto attorno al quale spesso ruotano i discordi di tutti noi. Quando e come si è effettivamente guariti?

Gianluca Cassandra


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