Impiegata fin dai tempi più antichi per risanare i recipienti vinari (si usava il biossido di zolfo per disinfettare i tini di fermentazione), utilizzata dalla fine del secolo XIX per prevenire indesiderabili alterazioni di colore e di gusto del vino bianco e, successivamente, per controllare l’attività della microflora dell’uva, l’anidride solforosa (SO₂) è il mezzo più pratico ed efficace a disposizione dell’enologo ai fini di una razionale vinificazione e dell’evoluzione biologica del vino.

Considerato che dal 1920 i solfiti vengono impiegati nella preparazione di alimenti e bevande, e che il loro uso è andato aumentando di pari passo al numero di preparazioni alimentari industriali (cresciuto a dismisura nell’ultimo secolo), dire che l’SO₂ interessi solo o principalmente il vino sarebbe una bugia, in quanto oggi la sua destinazione principale sono quasi tutti i prodotti alimentari finiti o semilavorati, tanto che l’Unione Europea ha già da tempo iniziato a regolamentare tutta la materia non solo per l’ SO₂ ma anche per tutte le altre sostanze che vengono aggiunte ai prodotti alimentari dell’industria.

Ultimo lavoro della Commissione a riguardo è stato il Reg. UE 1129/2011, testo rilevante ai fini del SEE (Spazio Economico Europeo, insieme di norme che rispettano anche i paesi non appartenenti all’UE pur di avere scambi commerciali, sociali e lavorativi con questa). In questo regolamento l’anidride solforosa e i suoi derivati vengono indicati con le sigle da E220 (anidride solforosa) a E228 (solfiti vari): sono proprio queste le sigle a cui dobbiamo prestare attenzione leggendo le etichette dei vari prodotti a cui viene aggiunta l’anidride solforosa o un suo derivato. E le categorie che ne ammettono l’impiego sono davvero tantissime: aceto, amidi, crostacei, stoccafisso o baccalà, senape, surrogati di pesce o crostacei, concentrati di frutta, frutta disidratata, preparati per purè, pomodori secchi, vini rossi, vini bianchi, succo d’uva concentrato e succo di limone, orzo perlato, conserve di pesce, sottaceti e salamoie, frutta candita e prodotti a base di carne . ove in genere i quantitativi impiegati sono maggiori per scongiurare il rischio di putrefazione della stessa.

Precisiamo che l’anidride solforosa (o diossido di zolfo) è un derivato dello zolfo, ottenuta industrialmente dalla combustione delle piriti (minerale contenete ferro sottoforma di disolfuro di ferro FeS₂) e dello zolfo all’aria; è un gas incolore, di odore irritante (ricorda quello di uova marce) ed estremamente solubile in acqua. L’ SO₂ può essere utilizzata come gas oppure in forma liquida (è stato il primo gas della storia ad essere liquefatto perché liquefa ad appena – 10°C), mentre i solfiti (ricordiamo che l’ SO₂ e i solfiti derivano dall’acido solforoso H₂SO₃) si presentano come polveri.

Ma come agisce l’anidride solforosa sui substrati alimentari in cui viene aggiunta? La prima azione svolta è quella antiossigeno,per cui può essere tranquillamente definita agente antiossidante; altra azione è quella di bloccare gli enzimi che favoriscono le ossidazioni (azione antiossidasica);importante è anche la proprietà di illimpidimento dei liquidi, a cui essa viene aggiunta per favorire l’aggregazione di molte sostanze in sospensione, le quali unendosi aumentano di peso e precipitano sul fondo dei recipienti da cui saranno poi allontanate.

L’anidride solforosa svolge anche un’azione solubilizzante poiché favorisce la migrazione di sostanze coloranti e odorose dalla matrice solida al liquido in cui questa è immersa (accade per esempio con le bucce di uva poste nel mosto); è utilissima inoltre per l’attività selettiva dei microrganismi presenti in una matrice alimentare, per cui vengono uccisi i batteri e altri microrganismi a seconda della dose aggiunta; ultima azione è quella sbiancante, per questo l’ SO₂ è impiegata anche negli zuccherifici.

Quindi riassumendo, l’anidride solforosa viene aggiunta a tanti prodotti alimentari perché:

  • Impedisce l’imbrunimento non enzimatico (dovuto all’ossidazione), rendendo i colori dei cibi più vivaci e costanti nel tempo:
  • Annienta i microrganismi che si trovano all’interno del prodotto, che sarebbero potenzialmente in grado di avviare alterazioni di vario genere;
  • Favorisce il passaggio del colore da una matrice solida a una liquida.  

La funzione principale resta comunque quella antifungina e antibatterica.La legge per ogni prodotto stabilisce dei massimali di anidride solforosa o solfiti che si possono aggiungere (per es. nei vini rossi 150 mg/litro e nei vini bianchi 200 mg/litro, mentre per le banane essiccate si parla di 1000 mg/kg!), ma in ogni caso la presenza di tali sostanze negli alimenti può provocare reazioni allergiche o di altro genere in chi li consuma, per cui la legge prevede che in etichetta sia indicata la presenza di solfiti (non la quantità però, e questo è un male perché non consente di premiare chi ne usa meno e punire chi ne usa di più pur restando nei limiti di legge), salvo il caso in cui il contenuto è inferiore a 10 mg/L o kg, anche se nei soggetti allergici basta anche questa dose per scatenare l’allergia.

I cibi che contengono più solfiti sono sicuramente il vino e le bevande alcoliche, i prodotti da forno, la frutta secca, la marmellata, gli sciroppi, i succhi, il pesce e i crostacei, le carne lavorate, le conserve di pomodoro e i prodotti confezionati. La legge però per alcuni alimenti non prevede l’obbligo di indicare né la presenza, né la quantità di SO₂ aggiunta: alcuni esempi eclatanti sono il pesce fresco, i gamberetti, i gamberi, il surimi.

Tenuto conto che la dose massima giornaliera  consentita è pari 0,7 g/kg di peso corporeo di solfiti, è facile comprendere che anche piccole dosi di tali sostanze potrebbero fare una grande differenza, se idealmente un individuo consumasse in uno stesso pasto più alimenti che li contengono.

Ma quali sono i potenziali rischi derivanti dai solfiti? Oltre a quelli che influiscono direttamente sulla qualità dell’alimento in cui vengono aggiunti (è importante sapere ad esempio che l’anidride solforosa distrugge le vitamine B1 e B2 in esso contenute), ben più rilevanti sono le complicanze che si potrebbero verificare inficiando il nostro benessere. A partire dalle complicanze epatiche, in quanto è nel fegato che l’ SO₂ viene detossificata e immessa nelle urine per l’eliminazione; se la quantità assunta è eccessiva, il fegato è in difficoltà e compaiono i famosi mal di testa (emicrania violenta) che colpiscono specialmente la parte bassa della fronte e possono anche perdurare per diverse ore.

Altra manifestazione è la reazione allergica (specialmente per gli allergici alla comune aspirina) con manifestazioni respiratorie anche gravi, come l’asma, a cui si possono aggiungere riniti, eczemi, orticaria e dissenteria, nausea, sudorazione, ipotensione arteriosa, vampate di calore:in questi casi una delle componenti più ostiche è proprio l’identificazione della causa, perché nessuno pensa ai solfiti. Infine, è stato accertato che i solfiti interagiscono con i medicinali di tipo cortisonico. Per i soggetti non ipersensibili, le quantità di solfiti generalmente utilizzate negli alimenti industriali non costituiscono un pericolo, anche se l’assunzione andrebbe tenuta sotto controllo. La situazione diventa più seria quando si accusa una particolare sensibilità rispetto alla presenza di queste sostanze.

E’ per tutti questi motivi che anche i ristoratori dovrebbero curarsi maggiormente della “questione solfiti”, a maggior ragione dal momento che il regolamento UE 1169/2011 prevede l’obbligo dell’indicazione della presenza di solfiti nei menù, anche se gli stessi erano presenti solo nei prodotti di base usati in cucina per la preparazione della pietanze.

Fonte: prodigus.it