La suggestione Conte: non possiamo che definirla così e soltanto di questo, almeno per ora, si tratta: l’ipotesi – non la candidatura – più prestigiosa e autorevole per la panchina della Roma. Con tanto di incontri “conoscitivi” in cui la dirigenza della Roma e il tecnico salentino si sono confrontati e “annusati”, per così dire. 
Altri sviluppi necessita la questione, anche dal punto di vista giornalistico; nel frattempo, da altre sirene Conte sarà tentato, ci mancherebbe.

Però, volendo giocare (solo giocare eh!) immaginando una conclusione positiva di una trattativa che ancora non possiamo con certezza considerare tale, quindi con un doppio tuffo ottimistico in avanti, proviamo a immaginare un eventuale effetto-Conte sulla piazza romanista. Due mesi e mezzo, al massimo: questa la tempistica che indichiamo per la fidelizzazione totale tra il tecnico e il tifo giallorosso. In ogni caso non si arriverebbe a tre e questa tempistica tiene conto anche delle correnti di pensiero romanista più diffidenti e dissenzienti nei confronti di un nome che ancora profuma di Juventus e di una “certa” Juventus, per giunta. 

Come facciamo a esserne così certi? Il fatto è che Conte, tolto Il pedigree di partenza, incarna tutto ciò che il pubblico della Roma da troppo tempo sogna, perlomeno dai tempi di Fabio Capello: fidelizzazione assoluta e obbligatoria del gruppo dei giocatori nei suoi confronti e nei confronti dei suoi metodi di lavoro; trasfusione di entusiasmo e carica emotiva nei confronti del pubblico anche soltanto per le modalità e la gestualità che mostrerebbe in panchina; adesione totale (da professionista assoluto) ai destini e alle sorti del club, ma con più veemenza rispetto a Capello. 
Sarebbe un generatore di empatia con la piazza senza termini di paragone (nemmeno Mourinho reggerebbe il confronto, allo stato attuale), innanzitutto perché il valore della rosa che avrebbe a disposizione lo tradurrebbe sul campo al 101%, per così dire e questo risultato da troppi anni manca in casa giallorossa.

Ma per ora ne abbiamo parlato già troppo; lanciamo la nostra scommessa e chiudiamola in un cassetto, per ora. 
Il dibattito invece no, quello possiamo lanciarlo sin da ora, coi nostri lettori.

Paolo Marcacci