La partita nel primo tempo non si è mai accesa del tutto, un po’ come il microfono di Chiara durante l’Inno nazionale, ben cantato ma per pochi, un po’ come in quei locali che ancora hanno il karaoke, quando si esibisce quella brava ma tutti chiacchierano tra loro in attesa delle pizze.
Rocambolesca all’inizio della prima frazione di gioco per come Milan e Bologna vanno a pizzicare la porta avversaria, vibrante poco prima del 45′ ma per questioni disciplinari, a cominciare dalla scivolata ad “alzo zero” di Ferguson su Leão. Si va negli spogliatoi con l’impressione che l’arbitraggio di Mariani non tenga del tutto le redini della partita nei momenti di massima tensione.
Osservando i due tecnici nelle rispettive aree tecniche (o giù di lì), diremmo che Italiano è il più plateale dei due negli atteggiamenti, perché capisce che i suoi non stanno sviluppando gioco con la fluidità consueta; più composto Conceicao, attendista come il suo Milan, in attesa dei giusti spazi per le transizioni offensive.
Il vantaggio bolognese arriva quasi senza preavviso, con Ndoye che ha la la lucidità di ricamare in dribbling all’interno dell’area, prima di trovare la coordinazione per battere a rete, ma con la retroguardia del Milan che generosamente collabora, favorendo gli acuti di Cremonini e Carboni (ardenti) in tribuna.
L’ultima mezz’ora, con un Milan rivisitato da Conceicao (dentro Walker, João Felix, Giménez, fuori Tomori, Jiménez, Jović), vive di spezzettamenti, falli tattici e relativi cartellini: tutto buono per la banda di Italiano, che gestisce la palla contro un avversario abbastanza smarrito e rinunciatario. Fase difensiva dei felsinei senza sbavature, Milan che si affida alle carezze del solo João Félix per tentare di forzarla.
Alla fine, dobbiamo notare che i portoghesi, quelli del Milan, stavolta pagano, con gli interessi, il loro ingresso in uno Stadio Olimpico che li ha visti leziosi e inconcludenti. È primavera inoltrata, ma il brodo bollente e i tortellini riempiono la Coppa.
Paolo Marcacci