‘C’è la più testa di minchia di tutti: uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge’

Dopo un’intensa giornata di lavoro, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone si ritrovano assieme e, nel tentativo di alleviare la tensione, il primo guardò il giudice dicendo: “Giovanni, ti ho preparato il discorso da tenere in chiesa dopo la tua morte: ci sono tante teste di minchia, quelle che sognano di svuotare il Mediterraneo con un secchiello, quelle che sognano di sciogliere i ghiacciai del Polo con un fiammifero ma oggi signori e signore davanti a voi, in questa bara di mogano costosissima, c’è la più testa di minchia di tutti: uno che aveva sognato niente di meno di sconfiggere la mafia applicando la legge.

Così, alle ore 17:58 del 23 maggio 1992, l’esplosione di 5 chili di tritolo sull’autostrada A29 nei pressi dello svincolo Capaci – Isola delle Femmine segna la storia. Sono passati tre decenni, nello specifico 32 anni, dalla strage di Capaci che costò la vita al giudice Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta Antonio Montinaro, Vito Schifani e Rocco Dicillo.

Vittorio Sbadarella, deputato della corrente andreottiana della Dc, lo aveva forse intuito, al che rilasciò un commento tramite Repubblica (agenzia stampa all’epoca non legata all’attuale) ponendo la situazione politica in stallo di allora a fronte di quella degli anni ’70, epoca in cui Aldo Moro venne rapito e assassinato: “I partiti, senza una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno come ai tempi di Moro, non potrebbero accettare di auto delegittimarsi”.

Ma la sorte di Falcone era segnata già a partire dal febbraio del 1986, anno dell’avvio a Palermo del Maxiprocesso alla mafia che lui stesso coordinò assieme a Paolo Borsellino. Il pentimento e le confessioni di Tommaso Buscetta portarono alla famosa sentenza di primo grado del 1987: 19 ergastoli e 300 condanne dichiarati. Vittoria grandiosa, ma se da un lato la Sicilia lo dichiara eroe, all’interno delle Istituzioni lo si condanna a morte: alla fine del Maxiprocesso il posto di capo dell’Ufficio istruzione di Palermo, allora di Antonino Caponnetto (a sua volta erede di Chinnici, assassinato nel 1983), viene assegnato ad Antonino Meli anziché al giudice Falcone, giustificando la decisione da parte del Consiglio Superiore della Magistratura con ‘termini di anzianità’.

Dal 1988 in poi, Falcone venne lasciato solo: dal trasferimento all’Asinara assieme a Borsellino alle vicende infamanti all’Addaura ormai il destino sembra segnato. Ma non prima dell’ultimo atto: il 30 gennaio 1992 la Cassazione sancisce la validità del teorema Buscetta, conferma gli ergastoli del Maxiprocesso dimostrando effettivamente che la mafia può e deve essere sconfitta.
Poco più di tre mesi dopo, il 23 maggio 1992 Giovanni Falcone muore assassinato.

“Il vigliacco muore più volte al giorno, il coraggioso muore una volta sola”

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