Come non detto: l’Italia riduce il debito e l’UE ci manda un’altra stangata

È in arrivo una nuova stangata fiscale.
L’Eurogruppo infatti ammette che ci sarà un accordo, dicono loro, “moderatamente restrittivo”.
Sono espressioni che tradotte dal politichese significa che è una fregatura colossale.
Gentiloni vuole i piani di rientro pronti prima dell’autunno e una simulazione sembrerebbe dimostrare che noi siamo penalizzati rispetto ai francesi, ai tedeschi e agli spagnoli. Ma che cosa è successo?

È successo che la Commissione Europea ha reso pubblica una simulazione della politica di bilancio per i prossimi 4-7 anni, mettendo in luce una situazione critica per l’Italia rispetto ad altri paesi dell’Unione. Secondo loro, l’Italia sarebbe chiamata ad attuare una crescita annua della spesa netta dell’1,3% e a ridurre il cosiddetto “saldo primario strutturale di bilancio” di 1,1 punti percentuali di PIL.
Queste misure comporterebbero dei tagli significativi nella spesa pubblica italiana, con degli obiettivi superiori a quelli previsti dalla riforma del Patto di stabilità.

L’estensione del periodo di aggiustamento diventa cruciale, con dei rischi considerevoli in caso di mancata adozione delle misure proposte. Gli europarlamentari italiani avranno probabilmente l’opportunità di intervenire nella prossima legislatura per contrastare questa proposta che è da considerarsi irricevibile. Insomma, la tanto discussa analisi sulla sostenibilità del debito, in passato scartata, fa ora capolino nella riforma del Patto di stabilità. E questo repentino ritorno solleva degli interrogativi sul suo effettivo valore e sull’affidabilità nel panorama attuale.

La verità è che vogliono ulteriormente una stangata fiscale sull’Italia perché la riduzione del debito italiano deve avvenire con delle tasse sui cittadini italiani. Ormai non so più come spiegarlo e come dirlo: vogliono evidentemente continuare ad attuare quelle politiche che da circa trent’anni stanno trascinando nel baratro economico l’intera Europa e non ammettono di sbagliare, ma semplicemente per la ragione che loro hanno un interesse completamente diverso da quello della crescita dei paesi. Loro sono al servizio delle grandi multinazionali finanziarie che hanno come obiettivo primario la stabilità di una moneta. Se poi la gente muore di fame, vabbè. Per loro sono “effetti collaterali”.

Malvezzi Quotidiani, comprendere l’economia umanistica con Valerio Malvezzi