Trump non è il nuovo messia: le verità che si celano dietro la sua candidatura (e non solo)

Moltissimi, anche nella sempre più ristretta cerchia di quelli che ancora usino criticamente la propria testa, ritengono che Donald Trump possa essere il salvatore, il redentore, la soluzione ai mali del nostro tempo concitato e tumultuoso. Come subito proverò a chiarire, si tratta però di una prospettiva claudicante e purtroppo priva di riscontri nella realtà fattuale. Ora che Trump sia preferibile a Biden o alla Clinton è fuor di discussione. Su questo nulla questione. Come ebbe a dire in un’occasione, peggio di Donald Trump vi è solo Joe Biden. Discutibile tuttavia mi pare ritenere che Trump sia il salvatore e la soluzione ai tanti problemi che ci affliggono e ci tormentano ogni giorno di più. Intanto perché Donald Trump, lungi dall’essere un socialista rivoluzionario, rappresenta pur sempre la parte del capitale. Sia pure, è vero, quella di un capitale manifatturiero non del tutto sciolto nel mare della finanza speculativa. Sul piano geopolitico, ad esempio, si è soliti sostenere che Trump non ha fatto guerre.

Non ne ha fatte tante come Biden o come Bush, certamente. Ma provate a chiedere cosa pensino di questo asserto agli iraniani, il cui generale Soleimani, ricorderete, venne brutalmente assassinato nel 2020, proprio quando Trump era presidente. Non era forse quello un gesto bellico inaccettabile, puramente imperialistico? Per quel che riguarda poi il rapporto di forza dominante, è vero, Trump rappresenta il capitale manifatturiero, l’economia reale, non primariamente la finanza speculativa.
E tuttavia non deve essere obbliato che nel 2017 proprio lui, Donald Trump, attua una poderosa deregolamentazione della finanza. una poderosa deregolamentazione della finanza tutta naturalmente a beneficio dei banksters e degli speculatori apoliti. Trump spazzò via le pur troppo tenui riforme attuate docilmente da Obama dopo la crisi sconvolgente del 2007.

In sostanza, con Trump, la finanza ha potuto grossomodo tornare a fare ciò che faceva prima del 2007 e che Obama, con tutti i limiti del caso, aveva provato, ripeto in maniera troppo tenue, a ridimensionare. Come diceva il mio maestro Costanzo Preve, tipico del suddito dell’impero è sperare nell’imperatore buono e non in quello cattivo, senza mai provare a immaginare la propria liberazione dall’impero in quanto tale. E così anche oggi, nella provincia italica, colonia di Washington, i più sperano nell’imperatore buono, Trump o Traiano che sia, e non nell’imperatore cattivo, Biden o Nerone che sia.
Il vero gesto critico starebbe appunto nel provare a immaginare una liberazione dall’impero in quanto tale. sperare cioè in una Italia finalmente libera e sovrana affrancata dalla presenza delle 110 e più basi militari statunitensi che ne occupano, voglio ricordarlo, impunemente il territorio e che naturalmente hanno continuato a farlo anche quando Trump era al governo Insomma, Trump è certamente preferibile a Biden o alla Clinton e, in caso di un confronto diretto tra di loro, non vi è alcun dubbio, dobbiamo sperare in Trump e non in Biden, in Trump e non nella Clinton, senza però lasciarci ingannare da pie illusioni. La salvezza, se sarà, non arriverà sicuramente da Washington, che vi sia Trump o che vi sia Biden.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro