Privatizzazione di Eni, Poste e Ferrovie ▷ “Chi ne beneficerà? I fondi di investimento americani”

La recente dichiarazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni sui prossimi passi della politica industriale, ha suscitato molto clamore. La Premier ha infatti dichiarato che entro il 2026 potrebbero entrare nelle tasche dello Stato circa 20 miliardi di euro tramite la vendita delle aziende pubbliche. La decisione di privatizzare le aziende italiane è stata intrapresa con lo scopo di ridurre il debito pubblico del nostro Paese. Nel mirino ci sarebbero quote di Eni, Ferrovie e il 20 % di Poste Italiane. Il rischio, come commenta anche Elly Schlein è quello di vendere gli asset strategici del Paese. In effetti la stessa Presidente del Consiglio aveva dichiarato nel 2018, che vendere Poste sarebbe stata “una follia”.

E’ sulla scia di questo recente dibattito che Francesco Borgonovo a Punto e Accapo, decide di confrontarsi con Gabriele Guzzi, Economista, per approfondire il tema delle privatizzazioni.

“Se le privatizzazioni degli anni ’90, sono arrivate dopo la riunione sul Britannia e una serie di passaggi che spingevano in quella direzione” chiede Borgonovo a Guzzi “oggi quali forze spingono verso la vendita degli asset pubblici?”.

Un quesito che può portare a più di una risposta: “Da una parte ci sono le autorità europee che vogliono ridurre il debito, dall’altra le potenze industriali nazionali o europee che vogliono mangiare sull’economia italiana” dice Guzzi “e poi i fondi di investimento per lo più americani, che potrebbero spingere le istituzioni pubbliche a privatizzare, con la falsa promessa di essere più efficienti nella gestione aziendale”.

“Al contrario degli anni ’90, in cui a godere delle privatizzazioni era il capitalismo italianospecifica Guzzi “ad oggi a beneficiarne è chi opera nella finanza miliardaria anglosassone”.

“Abbiamo detto di No al Mes, ma stiamo agendo come se l’avessimo chiesto” spiega l’economista “infatti potevamo privatizzare se dicevamo di si, ma invece si sta facendo comunque”. A questo punto Borgonovo lancia un altro quesito importante all’economista: “E se fosse stato uno scambio? Dire di no al Mes ma poi svendere gli asset“. Una domanda spinosa, che per adesso resterà senza risposta, ma su cui forse tutti noi dovremmo continuare a riflettere.