McDonald’s in tilt: “Non avrete nulla e sarete felici” diventa realtà in una scena desolante

Nei giorni scorsi si sono registrate code chilometriche in tutta Italia davanti ai McDonald’s per ottenere a soli tre euro il desideratissimo menu large. Si tratta a ben vedere di un’immagine pressoché perfetta del gregge omologato degli ultimi uomini di cui a suo tempo scriveva Friedrich Nietzsche. Nulla di grande in cui credere e in cui sperare, semplice spirito di adattamento ebete ed euforico alla civiltà merciforme, naturalmente con menu large garantito a 3 euro. Perché gli esseri umani amino le proprie catene e siano anzi pronti a battersi in loro difesa, resta dopo tutto l’enigma più importante della filosofia politica.
Dalla caverna di Platone alle code giubilanti davanti ai McDonald’s e ai loro panini globalizzati a buon mercato.
Il meglio che la civiltà merciforme dei consumi possa vendere loro.

Il capitalismo globale, di cui gli archi stilizzati in giallo di McDonald proprio come la bottiglia sagomata della Coca-Cola rappresentano l’emblema, figura in effetti come l’antro di Platone perfettamente realizzato. Là sotto, tra ombre e miseria, gli schiavi felici e contenti non chiedono di meglio se non il gran menù a tre euro, lavorando con zelo a rinsaldare ogni giorno di più le proprie catene.
Questo è l’enigma in effetti, perché tutti coloro i quali, in fondo, non hanno altro da perdere se non le proprie catene e da guadagnare un mondo continuano a lavorare pervicacemente acciocché il capitalismo come forma di produzione e di esistenza seguiti a riprodursi ad allargarsi a dominarci: questo è il vero mistero di cui ad oggi manca una vera e propria soluzione.

Insomma, possiamo dirlo senza tema di smentita, il capitalismo riesce a vincere non solo perché effettivamente si è imposto sui suoi concorrenti storici, ma anche perché riesce sempre più a coinvolgere nel proprio progetto anche e soprattutto coloro i quali, a ben vedere, tutte le ragioni avrebbero per contestarlo radicalmente, per insorgere, per rivoltarsi, per cercare in ogni guisa piste di emancipazione e fughe verso sogni di migliori libertà. Questo è l’enigma, di cui dicevamo, che si manifesta in tante forme di ordinaria postmodernità delle quali la scena tragicomica degli uomini e delle donne in coda per acquisire il panino con menù a 3 euro resta una delle scene più mortificanti e al tempo stesso più esemplificative.

La civiltà dei consumi produce l’intollerabile e insieme soggetti pronti a tollerarlo, di più felici, con stolta letizia di tollerarlo, e pronti anzi a battersi contro chi volesse privarli di questa miseria a forma di merce.

Insomma il capitalismo vince, non mi stancherò di dirlo, proprio perché asseconda la parte peggiore che è in noi, quella che le religioni e le etiche tradizionali avevano provato a disciplinare nella convinzione che l’uomo dovesse sollevarsi al di sopra della propria parte ferina per realizzare le proprie potenzialità ontologiche.
E invece il capitalismo, dicevo, ci chiede soltanto di essere liberamente la parte peggiore di noi: avidi e consumatori, cinici e individualistici.

Insomma, il capitalismo trasforma in virtù quelle che ogni etica e ogni religione, pur nella loro differenza, hanno tradizionalmente condannato e deprecato come vizi. Forse proprio in ciò sta il successo di una forma di vita, di produzione, di relazione, quella capitalistica, che non smette di apparire sempre di più la contraddizione in movimento. Una miseria che tuttavia pare, ai più, come qualcosa di desiderabile. Costi quel che costi.

Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro