La Federal Reserve trasforma i buoni del tesoro italiani da minaccia a opportunità

I rendimenti dei titoli di Stato italiani sono scesi in risposta alle parole di Jerome Powell, presidente della Federal Reserve statunitense, cioè della Banca centrale americana, che ha annunciato il mantenimento dei tassi di interesse. Questo elemento ha contribuito a ridurre il rendimento dei buoni del tesoro pluriennali decennali italiani dal 4,9% al 4,45%. con uno spread, cioè un differenziale di tasso di circa 180 punti rispetto ai Bund, cioè ai titoli di Stato decennali tedeschi. Questo movimento positivo per i titoli di Stato italiano è stato quindi più pronunciato rispetto ai titoli francesi e ai titoli tedeschi, riflettendo un aumento della domanda verso proprio i titoli del nostro Paese, cioè i titoli italiani.

Questo nuovo scenario economico che stiamo vivendo, con una inflazione in calo e una crescita economica rallentata, ha rafforzato la fiducia degli investitori nei titoli di Stato italiani. Anche le preoccupazioni sul famigerato rapporto di cui si parla ormai da troppi anni, cioè il rapporto deficit-pil, sono state soppiantate dall’ottimismo dei mercati rispetto alle politiche economiche del governo italiano e delle prospettive sui tassi e sulla crescita.

Il vantaggio è che, questa volta, l’effetto del presidente della Federal Reserve Power sembra avere trasformato i buoni del tesoro pluriennali italiani da una minaccia ad una opportunità. Chissà quanto sono arrabbiati a Bruxelles. Ora questa situazione è una situazione paradossale perché noi stiamo parlando sempre di titoli di Stato, di debito, di pezzi di carta che girano, un’economia che ormai è diventata un’economia cartacea. Purtroppo sento sempre meno parlare gli uomini politici di produzione, investimenti.

Molti di loro, temo che non abbiano mai visitato un’azienda, un alto forno, una fabbrica, un campo agricolo, un posto in cui si produce. Noi siamo passati negli ultimi decenni direi nell’ultimo secolo, da un mondo agricolo a un mondo industriale e poi oggi a un mondo di servizi e domani probabilmente a un mondo di pezzi di carta per i pezzi di carta. Io dico che dobbiamo ritornare ad un’economia umanistica.