“Come ogni estate, hanno parlato di scuola in tanti, sempre pontificando su un ambiente dal quale sono usciti venti o trent’anni fa, per mai più rientrarvi”


Ognuno con la sua ricetta per la scuola, che parlano da pulpiti differenti ma che sono accomunati da un intento manifesto: pretendere di insegnare il mestiere agli insegnanti.

Come ogni estate, anche questa sta per finire, anche se le temperature sembrano dire il contrario. Quelle stesse temperature che vengono ignorate da chi nei quotidiani nazionali scrive che la pausa estiva per le scuole è troppo lunga e che andrebbe ripensata, ovviamente senza indicare come e dove trovare i fondi per coibentare, modernizzare e soprattutto climatizzare centinaia di migliaia di edifici scolastici nei quali, in alcuni casi, cade il brecciolino dalle pareti e se una persiana avvolgibile elettrica si rompe i ragazzi trascorrono mesi con la luce del sole che picchia sui banchi o senza vederlo, il sole; dipende dalla posizione nella quale si è bloccata la persiana in questione. 

Viene il sospetto che chi scrive certe cose lo faccia per conto dell’INPS, perché pretendere che dei cinquantenni e sessantenni stiano in aula a luglio, diciamo da Milano in giù, equivale ad aiutare la previdenza sociale nel suo tentativo di risparmiare i soldi di parecchie pensioni. 

Come ogni estate, hanno parlato di scuola in tanti, sempre pontificando su un ambiente dal quale sono usciti venti o trent’anni fa, per mai più rientrarvi. Deve essere una pulsione insopprimibile, in senso freudiano, che colpisce i sociologi, i politici, gli psicologi, i Crepet (uno dei pochi a dire cose sensate), i Roberto Vecchioni (grande artista, ma un altro che ha lasciato la cattedra nel secolo scorso e che a scuola non vedevano di continuo, per così dire) di turno. Ognuno con la sua ricetta per la scuola, che parlano da pulpiti differenti ma che sono accomunati da un intento manifesto: pretendere di insegnare il mestiere agli insegnanti. A tutti questi personaggi, ultimamente si è aggiunta una categoria, temibilissima: quella degli insegnanti “fighi” ed empatici che su YouTube o su TikTok mettono in scena (non gratuitamente) la loro brillantezza e ci spiegano perché tanti loro colleghi sono noiosi, tristi, disinteressati. 

Chi scrive insegna nella scuola media inferiore, in un istituto comprensivo dalle parti di Via Boccea, a Roma. Siccome a differenza della maggior parte dei miei colleghi ho la fortuna di poterle scrivere su un sito importante come questo certe cose, vorrei ricordare ai lettori in questi giorni migliaia di insegnanti ricominceranno a confrontarsi con una burocrazia che sempre di più sovrasta la didattica, con tanti dirigenti scolastici (non tutti, per fortuna) che sembrano godere nel precipitarci in una sorta di Castello kafkiano, tra modulistica infinita e cervellotica; con fondi d’istituto quasi sempre insufficienti per mettere in atto progetti realmente efficaci. E ancora: con genitori che pretendono di insegnare al macellaio come tagliare la carne o al dentista come eseguire le otturazioni, i quali giustificano sempre di più la massima secondo la quale la classe ideale è una classe di orfanelli; con un concetto di inclusione, parola di per sé bellissima, ormai totalmente distorto, che oggi significa più o meno: – mandiamo avanti tutti, se no ci fanno ricorso e lo vincono, chi se ne frega se non valorizziamo le eccellenze e se facciamo atrofizzare le potenzialità dei meritevoli. –

Ah, poi ci sarebbe da parlare del tempo che la politica dedica realmente a migliorare la scuola, ma il cronometro resta sullo zero. 

Continuate a seguire gli interventi dei sociologi, degli scrittori, dei cantautori e a cliccare i video di quel professore che spiega i fenomeni della fisica e tutti i misteri dell’esistenza alle mamme incantate. Nel mentre, ai miei colleghi dico, parafrasando il sommo John Donne, ora che siamo vicini al fatidico trillo: – …non chiederti per chi suona la campanella. Suona per te. – 

Paolo Marcacci