Verratti, nessun moralismo e una piccola morale

Il tempo dei moralismi era finito già da un pezzo e ci sono sempre più milioni di ragioni, nel caso di Marco Verratti 156 in tre anni, a suggerirci che sul piano individuale determinate scelte le avremmo fatte anche noi o, meglio: non avremmo potuto non farle
Poi ci sono le morali, che sono una cosa differente e ogni storia ne ha una, a cominciare da quelle che hanno, oltre ai contratti, anche un’ambientazione da mille e una notte. 

Alla Fiera dell’Est i soldi non sono più due e persino il topolino di Branduardi oggi spillerebbe un triennale da svariati milioni e tutti saremmo lì a dire al topolino che non si può che dire di sì a un’offerta scritta con uno zero in più. Anche se poi c’è di mezzo un campionatino da giocare in un paese dove un occidentale può vivere bene solo nelle zone franche degli hotel extra lusso e dove alcune partite si disputano in stadi molto meno capienti dell’Adriatico di Pescara.

Il nocciolo della questione forse è proprio questo e lo evidenziammo già al momento della cessione di Tonali al Newcastle, quindi con solo gli arabi di mezzo, non il loro campionato (beh, un po’ loro è anche là Premier League ma non sottilizziamo): persino i bambini del Milan, invece di piangere sulle ceneri della maglia numero otto che avevano già acquistato, hanno iniziato a fare i discorsi dei grandi: – Beh, ma hai visto quanto gli offrono? -. Se il ragionamento diventa automatico anche per i tifosi del futuro, è il momento in cui il calcio dovrebbe preoccuparsi del suo futuro, perché a forza di tentare di vendere tutto arriva il momento in cui ci si svende. E l’appeal, il fascino, il richiamo che il mondo del pallone contiene potrebbero smettere di essere appetibili e diventare un qualcosa di circense e al circo, come sapete, ci va sempre meno gente. 

A salvare il pallone, paradossalmente, potranno essere soltanto i calciatori, ossia i destinatari delle offerte che non si possono rifiutare; i proprietari e i dirigenti no, perché metaforicamente si sono già venduti anche le mutande, o in ogni caso le hanno messe in vendita, sotto forma di calendari stravolti e sconvolti, ipocrisia sui diritti civili negati, contratti offerti col pallottoliere che sostituiscono le ambizioni di carriera con una polizza sulla vita delle generazioni a venire di un centravanti o un trequartista. 

Finché non saranno i fuoriclasse a invertire la tendenza, è il calcio, tutto, che rischia di compiere la parabola di un Milinkovic o di un Verratti: badare soltanto a monetizzare nel presente quello che poteva un grande avvenire, che a questo punto potrebbe già essere dietro le spalle. 

Paolo Marcacci