Nella giornata di ieri sono uscite le motivazioni della corte costituzionale sulla sentenza che a dicembre ha blindato l’obbligo vaccinale: l’obbligo è stato definito non irragionevole o sproporzionato rispetto ai dati scientifici della diffusione del virus. Ma è davvero così? “Ci sono dei profili che la corte non ha considerato” – spiega il professor Carlo Iannello, docente di diritto costituzionale intervistato da Francesco Borgonovo.

C’è da considerare il caso dei giudici siciliani che avevano emanato un’ordinanza riguardo a ciò: ordinanza che però risulta definibile come ‘schizofrenica’, perché si dirigeva sia verso la libertà vaccinale che verso la soppressione della libertà di curarsi. Questi giudici dicevano che l’obbligo era illegittimo perché non teneva conto di un profilo di sicurezza individuale, visto che sono stati riscontrati effetti avversi superiori alla media. L’altra motivazione, in direzione contraria alla precedente, diceva che sì, il vaccino non bloccava il contagio, ma il profilo di sicurezza personale era comunque garantito dal fatto che il vaccino potesse difendere il malato da un aggravamento delle condizioni, lasciando così i posti letto liberi in ospedale. Interpretazione molto simile ad un documento dell’OMS sulle vaccinazioni obbligatorie: ma che significava? Se si valuta l’obbligo di cura in base alla priorità di evitare il più possibile di mandare la gente in ospedale, allora si può mettere l’obbligo vaccinale per qualsiasi cosa invalidando così l’articolo 32.”

Alla corte costituzionale sono stati presentati più ricorsi” – spiega Borgonovo – “ma la corte ha citato, così ci sta dicendo il professor Iannello, uno degli aspetti più controversi: la giustificazione dell’obbligo in base alla credenza che il vaccino potesse bloccare il contagio, cosa che noi sappiamo non essere vera“.

Nei primi mesi un dottore mi diceva che effettivamente si era riscontrato un minor contagio fra i medici” – risponde Iannello – “e la corte costituzionale ha agito di conseguenza con le informazioni sul contagio dell’aprile 2021. La cosa importante è che la corte cita l’articolo 162: queste leggi che impongono l’obbligo sono legittime in base al mutare dei dati forniti. Il fatto che il governo Meloni abbia anticipato di due mesi ha tolto le castagne al fuoco alla Corte, perché altrimenti avrebbe dovuto giudicare un obbligo attuale. Se il governo Meloni” – deduce il professore – “non avesse anticipato la fine della sospensione, la decisione sarebbe stata diversa, perché a quel punto la Corte Costituzionale avrebbe dovuto assumere la prospettiva di chi guarda la realtà attuale, non quella del legislatore nel 2021“.

Se cosi è stato è abbastanza clamoroso” – conclude Borgonovo – “continuo a ritenere che bisognerebbe mettersi nella testa di chi ha subito delle discriminazioni, non in quella del legislatore“.