E’ davvero un episodio spiacevole quello accaduto qualche giorno addietro a Ursula Von der Leyen, la vestale del neoliberismo, della tecnocrazia repressiva dell’Unione Europea. In sostanza è accaduto a Ursula Von der Leyen che un lupo ha ucciso il suo pony privato: un lupo ha sbranato il pony di Ursula Von der Leyen, la quale in risposta ha scritto al Parlamento europeo per valutarne la protezione. Ora, con la massima solidarietà per il lupo più che per la Von der Leyen, possiamo ben dire che la vicenda è emblematica. In sintesi, l’Europa è realmente in mano a questi volubili e capricciosi signori dei ceti abbienti come Ursula Von der Leyen. Signori capricciosi e volubili dei ceti abbienti, il cui problema fondamentale sono alla fine i loro maneggi, i loro cavalli e il loro life style aristocratico.

Provate peraltro a immaginare, se fosse accaduto a parti inverse, che un lupo avesse attaccato il gregge di un pastore e il pastore, vedendosi sbranare l’intero gregge dalla cui esistenza dipende la sua sopravvivenza, avesse osato protestare, magari imprecando contro il lupo e magari facendo richiesta di maggiore tutela. Non è difficile immaginare come il povero pastore si sarebbe immediatamente sentito diffamare come insensibile alle istanze animaliste, come odiatore degli animali, come avulso dalla nuova sensibilità green dell’odierno contesto della globalizzazione neoliberale. E invece, poiché è accaduto a Ursula Von der Leyen, l’episodio privato diventa immediatamente pubblico e di più si fa caso politico. Oltretutto, l’accaduto è davvero emblematico di come si sia prodotta una distanza incolmabile, siderale, abissale tra l’alto e il basso, fra l’establishment e le classi nazionali popolari o ancora, se preferite, tra il vertice dei burocrati delle brume di Bruxelles. Gli euro, i nomadi, come io sempre li chiamo, in alto e in basso, le masse nazionali popolari, le classi lavoratrici di marxiana memoria.

E’ del tutto evidente come, nell’ordine delle priorità degli operai di Fiat Mirafiori, dei precari di Berlino o dei ceti medi di Marsiglia, non vi sia con tutta evidenza la difesa dei pony, dei maneggi e del lifestyle aristocratico. Le classi dominate oggi versano in condizioni miserrime e hanno molto spesso come obiettivo massimo che anche l’obiettivo minimo la sopravvivenza, la possibilità di arrivare a fine mese, di non essere in qualche modo suppliziati dalle leve della globalizzazione infelice di ordine neoliberale. Ebbene, questa distanza abissale tra il vertice e la base, tra l’élite e il popolo, è l’essenza stessa del neoliberismo, che sempre più produce distanza tra i primi e gli ultimi.

Di fatto, quella che chiamiamo democrazia al tempo del neoliberismo non è altro che l’autogoverno dei ceti possidenti e del loro life style, fingendo che sia in realtà una forma di governo pienamente democratica quando si tratta con tutta evidenza di una forma di autocrazia plebiscitaria finanziaria, in cui decidono sempre e solo i primi a scapito degli ultimi. Ecco perché quello che viene chiamato sovranismo o anche populismo, in realtà è il modo con cui le élite dominanti diffamano e stigmatizzano il ritorno della possibile sovranità popolare, che è un altro modo per chiamare la democrazia. E lo stesso populismo altro non è se non il movimento con cui le masse dannate in basso reclamano maggiore Stato, maggiore democrazia e maggiore attenzione ai loro interessi. Sicché il populismo non è la perdita di interesse per la politica tutta. Al contrario, è la richiesta del popolo di maggiore politica, di maggiore attenzione per il basso, di maggiore sovranità popolare, cioè di maggiore democrazia. Ecco, l’episodio di Ursula Von der Leyen è davvero emblematico di cosa l’Unione Europea sia attualmente.

Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro