Dalla vita non smettiamo mai di apprendere. Perché la storia, come sapeva Cicerone, è magistra vitae. Insegna, anche se poi molto spesso non ha scolari, cosicché dobbiamo ripeterla con tutti i suoi supplizi e le sue atrocità. L’altro giorno, ad esempio, la storia ci ha insegnato che sotto il cielo della politica regna grande confusione, per non dire di peggio.
Alla manifestazione per la pace che si è svolta a Roma si sono presentati, come se fosse la cosa più ovvia e normale del mondo, Giuseppe Conte ed Enrico Letta. Sì, proprio loro, avete capito bene. Il primo, Giuseppe Conte, è peraltro non in posizione marginale nel partito che votò a favore dell’invio delle armi in Ucraina. Con la sua presenza alla manifestazione si riconferma politicamente parlando il Visconte dimezzato: la parte cattiva a favore dell’invio di armi pare coesistere con quella buona, contraria alla guerra.

Se volessimo riprendere un altro personaggio della letteratura italiana, Conte ricorda politicamente parlando Don Circostanza di Fontamara, il capolavoro di Ignazio Silone. Don Circostanza è l’avvocato del popolo che in realtà rappresenta gli interessi dei padroni. Per quel che concerne invece Enrico Letta, ogni commento pare davvero superfluo. Egli è stato accolto con insulti da parte dei manifestanti che l’hanno qualificato come filoamericano, come atlantista, come guerrafondaio. E lo hanno fatto dacché sanno che Letta era – ed è – tra i più ferventi sostenitori delle ragioni dell’invio delle armi in Ucraina, nonché del guitto Zelenski, attore Nato, fantoccio manovrato dall’imperialismo di Washington. Che senso ha dunque la presenza di Letta in quella piazza? Si tratta di un gesto dadaista e una pura provocazione? O ancora è un’improvvisa amnesia? Non lo sappiamo.

Fatto sta che Enrico Letta è dovuto fuggire a gambe levate, e in quella fuga appare magnificamente cristallizzato il rapporto tra il popolo da una parte e la new left fucsia dall’altra. Se Enrico Berlinguer sfilava a braccetto con gli operai di Mirafiori a Torino e insieme a loro protestava e faceva le lotte per il lavoro, l’arcobaleno filo atlantista di Enrico Letta è costretto invece a fuggire a gambe levate dalle piazze. E lo fa per riparare, verosimilmente, nei fastosi palazzi della Ztl romana. Ecco la mutazione della sinistra, come l’ha brillantemente qualificata e studiata nel suo ultimo studio, Luca Ricolfi: dal rosso al fucsia, dalla falce e martello all’arcobaleno, dalle piazze popolari ai fastosi palazzi delle Ztl, fino a diventare la sinistra indistinguibile dalla destra stessa. Alla fine quasi appare più credibile l’oscena posizione delle destre e bluette, che se non altro per la guerra imperialista hanno mostrato da subito il massimo grado di fedeltà al padrone a stelle e strisce. Posizione disgustosa, certo, ma se non altro coerente in ogni caso. Dimostrazione, ancora una volta, dell’esaurimento della dicotomia tra destra e sinistra oggi egualmente assunte sotto il capitale, allineate al mercato sovrano e all’imperialismo umanitario made in USA, cosicché, divenendo espressioni del medesimo, rendono del tutto vana la contrapposizione, che diventa una contrapposizione che non produce l’alternativa ma che la nega sotto i segni dell’alternanza.

Un’alternanza che nega l’alternativa, dacché che a vincere sia la destra bluette, la sinistra fucsia vince sempre il medesimo, il partito unico del capitale, che è geopoliticamente atlantista e imperialista.

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