Si discute, in questi giorni, dell’aumento spaventoso delle bollette che stanno portando molti negozianti e molte piccole imprese a chiudere per sempre o comunque ad abbassare pro tempore le serrande. Anche molti cittadini si trovano letteralmente in difficoltà per via di questi rincari che sembrano insostenibili per moltissimi.

Così leggo – tra i tanti titoli disponibili sul tema – sul Messaggero: “Bollette, prime chiusure per i negozi: «Ci arrendiamo». Rischio stop per 120 mila imprese. Confcommercio: conto da 33 miliardi, 370 mila posti di lavoro possono sparire”.

Bisogna su questo tema essere molto chiari, di adamantina chiarezza vorrei dire, non si tratta di una accidentalità o di qualcosa di assolutamente non prevedibile, quasi come se fosse uno tsunami che si abbatte su popolazioni innocenti che non ne sapevano nulla. Tutto il contrario: si tratta di un ordine preciso di tipo neoliberale o se preferite si tratta di una tendenza squisitamente interna al paradigma neoliberale come metodo di governo dominante nel mondo occidentale post 1989.

Ordunque il turbocapitalismo planetario si fonda anche su questo o se preferite anche questo è uno dei punti saldissimi del tableau de bord della Plutocrazia neoliberale sans frontier: impoverire i ceti medi, distruggere le piccole realtà e ciò in vista della produzione di una massa sterminata di nuovi misérables, privi di tutto e dominati dal potere del grande capitale.

Insomma, sta prendendo forma realmente una sorta di collettivismo neo-oligarchico – per mutuare una formula felice di Orwell (1984) – che ricalca per certi versi la società capitalistica come se la immaginava Marx, nello sviluppo stesso del modo capitalistico della produzione: nella forma di una grande piramide al cui vertice vi è un gruppo sparuto di oligarchi del capitale, di ammiragli della finanza e di sostenitori del capitale multinazionale, alla base invece, nella grande base, troviamo una massa pressoché sterminata di descamisados, di dannati della terra, di privati ormai di tutto financo della dignità e dei diritti fondamentali.

Questo è il nuovo quadro sociologico della classe disagiata, come si sarebbe detto un tempo, che è disagiata nella misura in cui invece al vertice troviamo la Plutocrazia neoliberale, lo avrebbe detto lo stesso Marx, l’aristocrazia finanziaria. Si, perché il capitale, non dimentichiamolo mai, non è una cosa ma è un rapporto sociale tra persone mediato dalle cose e la reificazione sta anche in questo: nel veder cose dove invece vi sono rapporti sociali basati sulla simmetria dello sfruttamento. Quello che Marx chiamava qui pro quo della fantasmagoria della forma merce.

Ebbene questo qui pro quo continua a rendere indecifrabili i rapporti sociali mascherandoli dietro cose inerti. Questo è il paesaggio del tardo capitalismo che si basa oltretutto sulla distruzione organizzata dei ceti medi, sulla decomposizione delle piccole imprese e dei ceti medi, che sono divenuti il nemico principale del capitalismo vincente dopo il 1989.

Il capitalismo non prende di mira, cannoneggiandole, soltanto le classi lavoratrici come già faceva prima dell’89 ma è passato a colpire anche i ceti medi producendo quella forma di pauperizzazione costante della società che stiamo tragicamente riscontrando in questi giorni e che appare mascherata anche da questi rincari improvvisi che si abbattono, come una scure dolorosissima, sui ceti e sui piccoli imprenditori ossia sul nuovo precariato come più volte lo ha definito la classe dominata essendo oggi composta dal vecchio proletariato di cui diceva Marx e insieme dai vecchi ceti medi, dalla vecchia classe borghese in fase di pauperizzazione.

Questo è il nuovo spirito del capitalismo. Occorre comprenderlo per poterlo criticare e poi soprattutto per poterlo decostruire. Perché come dice il conte di Montecristo nella fortezza apparentemente inespugnabile nella quale è imprigionato: per poter uscire della fortezza occorre prima capire come è fatta, prendere consapevolezza della sua planimetria.

Radio Attività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro