Così leggo su Repubblica, rotocalco turbomondialista voce del padronato cosmopolitico e ultimamente grancassa del Leviatano tecno-sanitario. Si tratta di un articolo apparso sulla rete social detta Instagram e questo è il contenuto: “A scuola è vietato chiacchierare in mensa per evitare contagio”

L’articolo fa riferimento a quanto accaduto in un paese nel quale è stato deciso ai più piccoli di chiacchierare in mensa al fine di evitare il contagio. Dacché, si sa, il virus circola anche per via respiratoria e dunque anche tramite le goccioline dette “droplets”.

Ci sia permesso ribadire il fatto che la vita è vocazionalmente esposizione al rischio. Diceva Federico Nietzsche che vivere significa essere in pericolo. Vita e morte, lungi dall’escludersi si richiamano e sono reciprocamente innervate. La nostra vita ha un senso proprio in ragione del fatto che possiamo progettarsi sapendoci finiti.

La pretesa di dare una protezione totale alla vita rimuovendo la morte produce effetti che sono del tutto paradossali. La pretesa di dare protezione totale alla vita si determina irrimediabilmente nella produzione di dispositivi di controllo totale della vita stessa: applicazioni di tracciamento, tessere verdi e molte altre cose ancora. Questa l’essenza che Gilles Deleuze chiamava “la società di controllo”.
Società nella quale il cittadino – o meglio il suddito – è sottoposto a pratiche di controllo totali e totalitarie. Sul piano ontologico la pretesa di dare protezione totale alla vita si risolve in una contradditoria forma di annullamento della vita stessa, come emerge dal caso dei fanciulli a cui viene impedito di chiacchierare in mensa per evitare il contagio.

Che cosa resta di una vita ridotta a semplice sopravvivenza? Si può appellare così quella che ha perso tutte le sue qualificazioni e si riduce a nuda vita, mera sopravvivenza, del tutto indistinguibile da quella di un virus? Possiamo dire che questo è il paradosso più evidente che si sta producendo.

Per paura della morte si sta disumanizzando la vita. Per paura di perdere la vita la si sta riducendo a semplice sopravvivenza e annientando. Proprio in ciò sta la conseguenza pocanzi evocata di cui fanno esperienza quotidiana i poveri fanciulli che sono condannati a non poter nemmeno più dialogare tra loro in mensa.

La vita umana è dialogo e la morte potrebbe essere intesa come la fine di tutti i colloqui. Ma cosa accade se la vita per difendersi dalla morte si priva essa stessa di ogni colloquio possibile? Non è forse, per ciò stesso, indistinguibile alla fine dalla morte da cui la si vorrebbe mettere al riparo?

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro