Posticipare l’inizio del prossimo campionato di Serie A in segno di protesta contro il Governo: è questa l’ultima voce di corridoio fuoriuscita da una recente riunione di Lega. Il “casus belli” è, ancora una volta, il regime di restrizioni e limitazioni imposte a tutti gli strati della società, calcio compreso. Nonostante l’adozione dei vaccini come arma unica e inimitabile nel contrasto al Covid-19, sono cominciate a emergere evidenze che fanno traballare le convinzioni mainstream e che conducono alla messa in discussione dell’efficacia dei sieri. Salgono alla ribalta delle cronache i casi di vaccinati che hanno contratto l’infezione e che possono a loro volta infettare.

Prendono in questo modo forza le voci di chi sta scegliendo la strada contraria alla somministrazione, ma che proprio per questo si vede privato di alcune libertà fondamentali. L’introduzione dell’obbligo del Green Pass va in questa direzione e a farne le spese non sono soltanto i cittadini. Anche le attività economiche potrebbero pagare la scelta presa dalle istituzioni. Tra queste non è da escludere il settore calcistico con le società che vedono ridurre la fetta di pubblico che tra non molto potrà tornare ad assistere dal vivo a una partita di pallone. La certificazione verde sarà infatti necessaria per accedere agli stadi, aperti ma ancora con capienza largamente ridotta.

La domanda che sorge spontanea, fatta dai dirigenti delle squadre di calcio e appoggiata in diretta dal direttore Ilario Di Giovambattista è la seguente: “Ma se andiamo tutti con il famoso Green Pass, qual è il problema se tutti quelli che entrano non hanno problemi? O ci sono rischi?”. Di vaccini e passaporto sanitario si è discusso in diretta a Radio Radio Lo Sport.