Viviamo nel tempo dell’apoteosi del nuovo individualismo a la carte: ogni desiderio consumistico deve trasformarsi in diritto civile del consumatore cittadino del mondo. In questo modo, ciascuno tende a identificarsi con il proprio desiderio individualistico affrancato da ogni limitazione, e la libertà stessa è ora intesa come assenza di limiti per i desideri che ciascuno di noi deve far valere in forma illimitata. L’oltreuomo a volontà di potenza consumistica non deve accontentarsi di quel che è; deve invece aspirare a essere quel che vuole essere. Così recita il mantra della civiltà dei mercati. Il desiderio soggettivo si innalza a paradigma assoluto, con il quale tutto deve concordare.

Accade così che i desideri si ergono a diritti da rivendicare e le regole, per parte loro, decadono al rango di norme oppressive da abbattere. Si ha così l’apoteosi di un’inedita equivalenza tra desideri individuali e diritti.
I diritti tendono sempre più a fondarsi sul presupposto per cui ogni rivendicazione dell’individuo è legittima, per questo ogni desiderio deve figurare come diritto, e se non venisse riconosciuto giuridicamente, ciò costituirebbe un dolo e un’ingiustizia inaccettabile.
La società, nell’atto stesso in cui celebra ipertroficamente i diritti civili del consumatore, mette in congedo i diritti sociali propri della cittadinanza nazionale e centrati sul lavoro e sulla dimensione comunitaria.

Accade così che il rapporto tra legge e desiderio, si rovesci: la legge è riassorbita dal desiderio, che deve semplicemente riconoscere e convalidare. La legge stessa cessa di disciplinare il desiderio, incanalandolo e rendendolo produttivo, e ora è il desiderio a imporsi sulla legge. La travolge e si erge esso stesso a unica legge ammessa e riconosciuta: devi semplicemente voler godere, “devi trasformare ogni desiderio e capriccio in legge“, recita l’imperativo del tempo post-moderno.
Per questo motivo il diritto tende sempre più a fondarsi sul presupposto della liberalizzazione individualistica senza interdizioni. Ogni rivendicazione è legittima e ogni desiderio è un diritto, quindi entrambi – legge e desiderio – devono essere riassorbite sotto il segno del godimento. E se non vi fosse riconoscimento del desiderio da parte della legge, allora sarebbe un dolo, un’ingiustizia .

Chi prova insoddisfazione, ossia chi ha desideri che non vengono soddisfatti, è identificato come una vittima ed è classificata come repressiva ogni legge che non riconosca ogni desiderio come legittimo. Più precisamente, l’eccezione chiede di diventare legittima e di essere parificata rispetto alla regola. Ne scaturisce così quello che potremmo definire un “traffico dei diritti insaziabili”, i quali non conoscono misura né limitazione, perché smisurata è l’antropologia del desiderio da cui discendono. E’ questa l’essenza della civiltà arcobalenizzata di cui siamo – nostro malgrado – abitatori. Una società in cui non c’è più la legge, ma solo il desiderio. Una società in cui ogni capriccio deve mutarsi immediatamente in legge, sennò siamo al cospetto di una discriminazione e, in nome della lotta contro tutte le discriminazioni, vengono abbattuti tutti i limiti e tutte le leggi che ancora facciano da argine al proliferare del desiderio illimitato del consumatore capriccioso.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro