Eh, ma c’è il virus“. Sì, ma c’è anche la fame, e questo la dice lunga sulle ragioni che hanno spinto molte persone a manifestare alla stregua della disperazione davanti a Montecitorio.
Il Governo però, sembra tirare dritto: le prime vere riaperture, se tutto va bene, sarebbero previste la prima settimana di giugno, praticamente un’infinità di giorni senza respiro per professioni come i ristoratori, che di tempo non ne hanno più.
Occorre fronteggiare il virus, sì, ma occorre anche tornare a lavorare, e in fretta, se non si vuole portare l’economia italiana a un punto di non ritorno.

Eppure le ragioni di chi non sa più come mettere il piatto in tavola, visti anche i ristori insufficienti (l’Italia è fanalino di coda in Europa) non solo non sembrano essere prioritarie per gli amministratori, ma non sono neppure capite appieno da tutti, in particolare da chi – per sua fortuna – può ancora contare su uno stipendio fisso.
Operai a tutti gli effetti, e di vecchio stampo: questa è la recessione che stiamo vivendo secondo il professor Enrico Michetti per quanto riguarda le professioni autonome. Professioni che in quanto a diritti e libertà, nell’anno della pandemia sarebbero tornate indietro di più di mezzo secolo.
Ascoltate l’analisi del direttore della Gazzetta Amministrativa a ‘Lavori in Corso’.

Siamo nella stessa situazione che vivevamo negli anni ’50, quando gli operai facevano delle giuste rivendicazioni per migliorare le loro condizioni di lavoro. Ricordate le morti bianche e quanta gente moriva nei cantieri? Le fabbriche molto spesso erano tese soprattutto alla produzione e meno a favorire requisiti di civiltà.
Ecco, quei passi in avanti sono stati fatti perché il popolo – non solo gli operai – e tutto il mondo culturale (ma anche braccianti e studenti) favorì quel processo di emancipazione della classe operaia. E lo favorì perché era giusto che avvenisse.
Si consacrò nel 1970, con l’approvazione dello statuto dei lavoratori: probabilmente allora uno dei più emancipati che ci fosse in Europa.

Oggi i ristoratori sono gli operai di un tempo. Sono poveri disgraziati.
Gente che si alza la mattina alle 8 e finisce a mezzanotte, che non ha sabati e domeniche, che sta ore in piedi a servire ai tavoli. E poi è un’attività che non ha garanzie, perché tutto dipende se il cliente viene o no.
Questa precarietà è diventata quasi cronica, e oggi non stare tutti insieme dalla parte dei ristoratori io credo che sia veramente un sacrilegio: significa che il paese, in termini di unità, è finito.
Dovremmo scendere in piazza tutti. In passato per due punti di scala mobile siamo scesi nelle piazze in 3-4 milioni.
Ora ci sono persone che non hanno più il lavoro. Gli è stata tolta la dignità. Ed è stato fatto con un provvedimento dello Stato: questo dovrebbe scatenare l’Inferno, anzi, probabilmente quello che è accaduto è niente rispetto all’attenzione che meriterebbe questa vicenda.

Ci sono coloro che si ergevano a rappresentanti del popolo: oggi abbiamo scoperto che la cosa più importante per costoro è la poltrona.
C’erano coloro che mai avrebbero avallato politiche che non fossero state a sostegno dei meno abbienti, ed erano coloro che giustamente avevano questo tipo di vocazione. Oggi stanno altrove, pensano ad altri argomenti totalmente fuori luogo.
Questi sono gli effetti, purtroppo, di una crisi atavica che si trascina nel tempo a cui mai nessuno ha dato rimedio. Tanti hanno speculato sulle diverse categorie sociali, ma nessuno poi è riuscito a creare occupazione per questo paese.
Vi ricordo solo un dato: noi nel 1992 eravamo tra i primi 5 paesi al mondo per la qualità tecnologica. Dal ’92 ad oggi la Germania è cresciuta nella qualità tecnologica del 184%, la Francia del 98%. E noi? In trent’anni siamo cresciuti del 4%. Questo la dice lunga sulla piega che ha preso il paese da quegli anni
“.