Niente più studio, niente più concorso, niente più opportunità per chi, per un motivo o per un altro, non ha previsto nel suo percorso formativo la strada universitaria (o in generale dello studio).
E’ quanto si vorrebbe fare per le modalità d’accesso agli impieghi nelle amministrazioni pubbliche, considerando in una nuova eventuale norma per l’assunzione soltanto i titoli come requisito, dunque non si farebbero più esami. Sostanzialmente si vorrebbe quindi modificare l’articolo 1, comma 1 del Testo aggiornato del regolamento approvato con decreto del Presidente della Repubblica del 9 maggio 1994, recante norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzioni nei pubblici impieghi.

La proposta del Ministero tuttavia ha diverse falle, per l’economista Valerio Malvezzi: una su tutte il fatto che quei titoli necessari ad essere assunto, una volta passata la legge, potrebbero essere modificati ad hoc dalle amministrazioni per scegliere candidati a seconda del proprio gusto, e non secondo il merito che passa dallo studiare per un esame di Stato. Senza contare quanto questo graverebbe sulla piaga delle raccomandazioni.
Il Prof. Malvezzi ha detto di più a Fabio Duranti e Francesco Vergovich a ‘Un Giorno Speciale’.

C’è un provvedimento che credo sia in corso di dibattimento, non so se in entrambi i rami del Parlamento o se passerà soltanto in uno dei due rami. Anche perché forse il pubblico non sa che ormai stiamo andando in una Repubblica monocamerale, non bicamerale, cioè di fatto ai miei tempi, quando c’erano le Guerre Puniche, si andava prima in un ramo della camera e poi nell’altro. Questa è una cosa normale: il bicameralismo serviva per la cosiddetta doppia lettura dei provvedimenti, cioè poter fare delle modifiche degli emendamenti dove i parlamentari, per conto del popolo sovrano, apportavano dei miglioramenti ai testi dei decreti legge di solito fatti per urgenza dal Governo.
Ma non c’è nessuna urgenza adesso, perché se tutti i giorni è urgente è evidente che c’è qualcosa che non va nella pianificazione. Molto spesso ormai il costume del Governo è: quando si arriva al secondo ramo, non si fa più dibattimento.

Ora io non so se è questo il caso. La notizia che vi segnalo è che il Ministero propone che i concorsi per la pubblica amministrazione non vengano fatti per titoli ed esami, ma solo per titoli. Io quando ho letto la notizia sono rimasto un po’ stupito, perché mi sembra vagamente incostituzionale. Perché questo? Perché, vado a memoria, l’articolo 97 della Costituzione dice che alle pubbliche amministrazioni si accede attraverso il concorso, non attraverso i titoli.

La seconda ragione è che, dal momento che non credo che Gesù Cristo sia morto di freddo, vi dico quello che è il reale problema: se tu consenti l’accesso alle amministrazioni pubbliche solo per titoli e non per esami, intanto crei una distruzione sociale di alcune centinaia di migliaia di ragazzi più giovani, che magari non hanno una laurea – e parla uno che fa il docente universitario – ma che magari stanno studiando da qualche anno per fare un concorso, in una situazione nella quale vi ricordo che c’è oltre il 40% di disoccupazione giovanile in Italia.
Questi ragazzi quindi si scordano per tutta la vita di avere un posto di lavoro, perché se tu hai un titolo di studio superiore che magari non è più appetibile per il mercato, che speranza hai oggi?
Ma vi rendete conto che se passa una norma del genere da domani lo decidono le amministrazioni pubbliche chi può occupare un certo posto di lavoro piuttosto che un altro?
Verrebbero messi criteri di soggettività, verrebbe tolta la meritocrazia
“.