L’Unione Europea ci regala il suo ennesimo “scherzo da prete”, come usa dire. Nella versione finale del “Recovery Plan” inviato al Parlamento, sparisce il salario minimo. Eppure, come sapete, esso era presente nella bozza. Ed era, di più, uno dei temi che maggiormente erano stati impiegati, al tempo, per addomesticare e imbonire l’opinione pubblica: per convincerla, segnatamente, che contrariamente a quanto va ripetendo la vieta retorica sovranista, populista e complottista, l’Unione Europea coincide con l’El Dorado dei diritti, con la cornucopia del welfarismo e con il bengodi delle classi lavoratrici.

Insomma, diciamolo apertamente: hanno impiegato artatamente il tema del salario minimo per indorare la pillola dell’ennesimo dono avvelenato, quello del Recovery Plan, per indurre le masse teledipendenti e manipolate dal circo mediatico ad accettare, ancora una volta, ciò che negava completamente i loro interessi basici. E ora scopriamo, senza invero stupircene, che il salario minimo è uscito dal circolo dell’apparire, come se mai fosse stato proposto: la sua funzione l’ha svolta e ora i cinici tecnocrati senz’anima che chiamano “integrazione europea” il massacro di classe gestito dall’alto possono annichilirne ogni traccia.

L’inganno del Recovery Plan, peraltro, non si risolve in questa vergognosa e inqualificabile promessa smentita del salario minimo. Come se non bastasse, accanto a ciò v’è il fatto, non meno inqualificabile, che, nella “torta” del Recovery Plan, la fetta più modesta è quella dedicata alla sanità: appena 15,6 miliardi, a fronte dei 57 miliardi consacrati alla “transizione ecologica”; formula squisitamente orwelliana che allude, al di là del “velame de li versi strani”, al transito alla green economy delle classi dominanti, ossia al new capitalism ritinteggiato di verde, sotto il quale si nasconde il vecchio sfruttamento.
Insomma, nel bel mezzo di un’emergenza che ci dicono essere una pandemia globale, i danari destinati alla sanità pubblica vengono per ultimi in ordine di importanza, dopo la transizione ecologica, dopo la digitalizzazione e dopo una non meglio chiarita “inclusione”. Insomma, s’è ampiamente inteso: il motto “la salute è la cosa più importante” vale, per i centurioni dell’ordine neoliberale, solo quando si tratta di comprimere i diritti e le libertà; quando si tratta di distribuire i fondi, la salute diventa, al contrario, la cosa meno importante.

RadioAttività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro