Un anno di Covid, un anno di chiusure. Dopo mesi di coprifuoco, restrizioni e mascherine però la situazione epidemiologica italiana è tutt’altro che positiva. Siamo infatti tra i paesi che hanno adottato le maggiori chiusure ma che, allo stesso tempo, hanno i numeri peggiori sul virus.

Oggi quindi ci si interroga sulla bontà di questa strategia e, a supportare la tesi per cui l’approccio nella lotta al Covid dovrebbe essere diverso, arriva uno studio pubblicato su Science, intitolato “Immunological characteristics govern the transition of COVID-19 to endemicity”.

Di questo studio e dell’efficacia del lockdown ha parlato in diretta il Prof. Pietro Luigi Garavelli a ‘Un Giorno Speciale’ in compagnia di Fabio Duranti e Francesco Vergovich.

“Io già da marzo – riferisce Garavelli – dicevo le cose riportate dallo studio di Science. Bisognava stabilire solo se il clima poteva giocare un ruolo per tagliare definitivamente la trasmissione. Ma ciò non è avvenuto, il clima caldo ha ridotto la trasmissione del virus ma non la ha annullata. Il modello è molto simile a quello di tutte le altre virosi. Questa patologia è diventata endemica, persisterà per sempre nella popolazione e darà delle riattivazioni epidemiche, ondate epidemiche, che sono dell’ordine di qualche mese.

Sapendo queste cose ci si chiedeva già un anno fa a cosa servisse il lockdown. Questo serve per patologie limitate nel territorio e patologie di contatto… serve se nel frattempo si verifica 1 di di queste 4 condizioni:

  • 1- Il virus modifica le sue caratteristiche e diventa più buono, si adatta all’uomo e diventa meno aggressivo.
  • 2- Le condizioni di trasmissibilità, in questo caso il clima, stronca la diffusione come avvenuto nel 2003 con la Sars.
  • 3- Il vaccino, come avvenuto per il vaiolo. Ma il vaiolo è un grande virus con dna che non muta, Sars-CoV-2 invece è invece un virus che muta e sfugge ai vaccini in una corsa continua.
  • 4- Ci sono terapie efficaci per stroncare il virus.

Nel momento in cui non si è verificata nessuna di queste 4 condizioni, nel momento in cui si riespone la popolazione chiusa dal lockdown, questa viene investita nuovamente dal virus che è rimasto nell’ambiente e ci si continua ad ammalare. Quindi non ne usciamo più. Bisogna essere pragmatici e dire: questo virus probabilmente non ce lo toglieremo di torno, negli anni modificherà le sue caratteristiche. Sappiamo che nell’80% dei casi non dà problemi, ospedalizza il 5% delle persone e ammazza meno dell’1%, con le cure precoci ne ammazza ancora meno.

Quindi non fasciamoci la testa, dobbiamo convivere con questo virus, riprendiamo la nostra vita, adottiamo comportamenti individuali saggi (assembramenti non da bandire, ma da adottare con ragionevolezza). Ci sono vaccini che giocano il loro ruolo ma che vanno riaggiornati periodicamente sul ceppo virale e ci sono delle cure. Sappiamo che i primi anni saranno duri, ma la vita deve ripartire. Non si può morire di paura. Fa più morti la paura e il dissesto economico e sociale di una malattia con cui alla resa dei conti dovremo convivere sapendo che abbiamo cure e vaccini che poi saranno sempre più efficaci.

Questa è una società edonistica che muore più per la paura della malattia infettiva che per la malattia infettiva stessa”.