Il politico e la comunicazione sono un tutt’uno, e il rapporto tra l’agire comunicativo del decisore e la sua reputazione è sempre più simbiotico col passare degli anni.
Siamo ormai lontani anni luce dalla Prima Repubblica, nella quale c’era una sorta di muro tra il politico e il cittadino. Il palcoscenico televisivo divideva in modo netto la vita quotidiana da ciò che accadeva in Parlamento, e il percepito delle persone era nettamente differente rispetto all’attuale modo di approcciarsi a un personaggio politico.
E’ cambiato tutto specialmente negli anni ’90 con la comunicazione emozionale e spettacolarizzata figlia del berlusconismo, che strideva nettamente con l’ethos di un Aldo Moro (per fare un esempio).

Oggi la comunicazione politica continua a cambiare, e probabilmente dopo il 2020 del Covid non sarà più la stessa.
Un anno di conferenze, attese, notizie e dolori raccontati in prima serata da Giuseppe Conte con una buona dose di strategia a reti unificate. In soli pochi mesi di Presidenza di Mario Draghi abbiamo però capito altrettanto sull’ex governatore della BCE e i suoi metodi comunicativi: più silenzi e parole molto più dosate a suggellare la figura di un Presidente focalizzato sull’obiettivo.
Ne abbiamo parlato a ‘Lavori in Corso’ con il Prof. Mario Benedetto, docente di teorie e tecniche della comunicazione integrata e dell’audiovisivo alla Luiss Guido Carli.

Sono molto soddisfatto di questa nuova stagione, perché si comunica meno ma si comunica meglio, per richiamare il titolo di un libro di una giornalista di qualche anno fa, che parla di come il contenuto debba oggi essere privilegiato in forma sintetica e non necessariamente con una sovraesposizione alla quale purtroppo stiamo assistendo su tanti fronti.

Probabilmente Conte ha avuto un attitudine personale e professionale, considerando che viene da un’appartenenza alla famiglia degli avvocati. Conte è stato insolitamente sovraesposto, ma anche a suo danno secondo me, perché c’è stato un tema che si può sintetizzare su due aspetti fondamentali: la quantità, e qui dobbiamo dire che la sovraesposizione non necessariamente genera buona reputazione. Poi la qualità: a mio giudizio alcuni contenuti delle comunicazioni sono stati calibrati in un modo che andrebbe rivisto (e infatti è stato corretto). C’era cioè un riempire di contenuti politici dei momenti informativi come le conferenze stampa nei confronti di un popolo che aspettava le notizie con grande attesa, a scapito di una comunicazione di servizio; dire cosa succede e cosa bisogna fare. La qualità.

Draghi? Cerco di stare sul tecnico: lo trovo serio. Lo trovo serio nel senso che si comunica e si dice qualcosa quando c’è qualcosa da comunicare e da dire.
Riempire dei vuoti o cercare di persuadere sulla bontà del proprio operato sovraesponendosi e continuando a fare dichiarazioni che sono molto spesso ematiche, più che di servizio, risponde al canone di serietà: ciò che oggi i politici devono avere, soprattutto in un contesto critico come questo.
Io quindi ricondurrei a un iter naturale della presa di contatto tra il Draghi professionista e il Draghi premier e un’evoluzione dei fatti che comportano la necessità di esprimersi quando necessario. In questi giorni è stato più opportuno e il premier si è esposto di più
“.