Immaginatevi esercenti (se non lo siete già) mentre guardate l’ex premier Giuseppe Conte in conferenza dirvi cosa dovrete fare a partire da domani stesso. Scene che si sono ripetute spesso nell’ultimo anno, ma che hanno portato a molti risvolti differenti nella vita quotidiana dei commercianti, dalle chiusure temporanee del lockdown a quelle a singhiozzo in autunno. Un cammino che spesso e volentieri è stato costellato da multe nei confronti dei “ribelli”. Anche dei ribelli per sbaglio.
E’ successo all’assistito dell’avvocato Antonio Giannotti, che vendendo alimenti per animali, all’alba del 3 dicembre 2020 ha aperto la serranda, ritenendosi un bene essenziale come gli altri negozi di alimentari, e quindi in linea col Dpcm appena emanato.

Non era così, per questo la polizia ha chiuso il suo negozio recapitandogli una multa da €400,00. Ovviamente l’esercente non si è fatto scivolare addosso il Dpcm, che nel suo lato più cinico lo ha punito mentre era in buona fede.
Nasce da lì la possibilità di una svolta: dalla sentenza che ci sarà a maggio sulla chiusura coatta del suo negozio, e quindi sulla legittimità di tutte le chiusure di chi non potrà sentirsi dire per un altro anno “resta a casa”.
Per ordine del giudice ora il negozio è aperto, con tanto di multa stracciata. Merito anche dell’avvocato Giannotti, che ci ha raccontato tutto a ‘Un Giorno Speciale’.

Il Dpcm in questione vieta alle attività diverse dai generi alimentari, dalle farmacie e parafarmacie l’apertura nei giorni festivi e prefestivi e nei finesettimana quando queste attività sono in sede nei centri commerciali.
Quindi il mio assistito gestisce un’attività di vendita di alimenti per animali e un sabato di qualche mese fa è rimasto aperto perché lui riteneva in buona fede che nella dicitura “alimenti” fossero legittimamente compresi anche quelli per gli animali.
E’ intervenuta la polizia locale del paese dove esercita quest’attività commerciale e gli ha tolto una contravvenzione. Sostanzialmente aveva redatto un verbale di accertamento di violazione amministrativa con riferimento a questo Dpcm combinando una sanzione pecuniaria di €400 all’esercente, oltre ad un ordine di chiusura immediata dell’attività stessa.

Questa persona quindi si è rivolta me perché riteneva di essere stata lesa in un suo diritto costituzionale, parliamo precisamente di due articoli della Costituzione, cioè l’articolo 4 e l’articolo 41, il primo che sancisce il diritto al lavoro e il secondo che garantisce la libertà d’impresa.
Dopo che è venuto da me ho portato la questione all’attenzione del tribunale chiedendo in via cautelare una sospensiva dell’ordine di chiusura combinato dalla polizia locale e quindi avanzando chiaramente diverse censure, sia nel merito che in via preliminare, e ho colto l’occasione per sollevare la questione della legittimità costituzionale, non dei Dpcm che in quanto atti amministrativi non sono sottoposti al vaglio della corte costituzionale, ma dei decreti legge che hanno conferito al Presidente del Consiglio il potere di disciplinare e di comprimere i diritti costituzionali dei cittadini attraverso un atto amministrativo monocratico.

Per farla breve, la situazione è questa: il tribunale ha dichiarato ammissibile il ricorso, ha sospeso in via cautelare l’ordine di chiusura combinato a questo mio assistito. Per lo stato attuale del procedimento non sappiamo ancora qual è la motivazione effettiva che indotto il giudice a sospendere il provvedimento in via cautelare, perché lo sapremo probabilmente a maggio quando ci sarà l’udienza di merito fissata dal giudice contestualmente.

Peraltro i Dpcm, oltre che – a mio avviso – anticostituzionali per un’illegittimità derivata dall’incostituzionalità dei decreti legge a monte, sono anche atti amministrativi che ex se sono illegittimi: c’è un evidente difetto di motivazione, e quindi una violazione di legge, perché anche gli atti amministrativi sono soggetti a un obbligo di motivazione. Motivazione che poi si traduce in una manifesta irragionevolezza. Non si capisce perché il virus circola dalle 6 in poi per cui un ristoratore deve chiudere alle 5.59 ma fino a quell’ora può esercitare la sua attività.

Poi tra l’altro tutta questa filiera normativa dell’emergenza si aggancia ad una dichiarazione di emergenza che non è prevista nel nostro ordinamento costituzionale. La nostra Costituzione prevede lo stato di emergenza soltanto in caso di guerra, quindi loro hanno fatto riferimento alla legge istitutiva della protezione civile che si occupa soltanto di sciagure climatiche, come esondazioni o terremoti, non prevede pandemie. La dichiarazione di emergenza non può prescindere dalla riserva di legge e dal rispetto della legalità.
Loro si sono arrogati questo potere che già a livello genetico è viziato, perché non è contemplato da nessuna norma
“.