Il Premier Conte, prima dell’arrivo del Segretario di Stato americano Mike Pompeo a Roma, ha riunito il suo Governo. Obiettivo? Riuscire a nascondere sotto il tappeto di Palazzo Chigi gli accordi degli operatori italiani di telecomunicazione con il colosso cinese.

Almeno fino al 4 novembre, poi si vedrà. Nella migliore delle ipotesi dopo le elezioni americane non ci sarà più il rischio che Mike Pompeo torni arrabbiato. I problemi però sono due:

  1. Quegli accordi sono troppo ingombranti per scomparire senza dare nell’occhio
  2. L’inchiesta anti-dumping scattata in Europa con la Cina accusata di aver venduto cavi a prezzi bassissimi. Dall’inchiesta si evince che ad acquistare componenti cinesi siano stati anche operatori italiani, tra cui Open Fiber. Ossia, la partecipata di Cassa Depositi e Prestiti che si occuperà dello sviluppo della banda larga nel nostro Paese.

Proprio Cassa Depositi e Prestiti ha firmato in passato l’accordo per la cessione del 35% di CDP Reti al gruppo cinese “State Grid Corporation of China”. Come mai nessuno ha impedito che le nostre reti strategiche finissero nelle mani dei cinesi? Appunto perché erano le mani dei cinesi.

Invece la storia di Retelit è surreale, a tratti comica. C’era una volta un imprenditore di nome Mincione, che ora un’inchiesta ci dirà se utilizzava davvero i soldi del Vaticano. Il cui gruppo, Fiber 4.0, si rivolse ad un avvocato di nome Giuseppe Conte per chiedergli una consulenza per una scalata a Retelit, compagnia di telecomunicazioni italiana.

L’avvocato Conte suggerì che la legge sul golden power poteva essere utilizzata per la scalata di Retelit. Qualche settimana dopo, l’avvocato Conte fu nominato Presidente del Consiglio in Italia. E che cosa fece? Fece scattare proprio il golden power su Retelit.

La Matrix Europea con Francesco Amodeo


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