26 aprile 1996: il cancelliere tedesco Helmut Kohl accusava i tedeschi di vivere oltre le proprie possibilità. Il concetto viene da allora continuamente ripreso dai liberisti italiani, non a caso è diventato il loro mantra.
Questo concetto è però diventato col tempo proprio il capro espiatorio del nostro debito pubblico, paragonato con quello della virtuosa Germania, dalla quale in realtà abbiamo preso in prestito quella espressione.
L’Italia non era ancora entrata nella moneta unica, dunque Kohl, disperato, scriveva una lettera ai tedeschi annunciando lacrime e sangue: altra espressione che noi erediteremo con fierezza per non cambiare il copione neoliberista.
“Care concittadine, cari concittadini, di fronte all’alto numero di disoccupati il Governo dovrà fare uno sforzo particolare e, del resto, non ha altra scelta per stimolare la crescita e creare dunque nuovi posti di lavoro“, scriveva Kohl.
Ma qual è lo sforzo dei governi secondo il pensiero unico neoliberista? Far pagare il prezzo ai lavoratori.
“Il costo del lavoro da noi è molto più alto che in altri paesi. Questo ha fatto sì che in Germania non si investa più abbastanza, per questo abbiamo deciso misure che toglieranno questi costi“, continua Kohl, “Risparmiare non è un fine in sé ma assicura le fondamenta per una crescita durevole e sana“.
“Il bilancio dello Stato non è diverso dal nostro bilancio personale“, qui scopriamo l’origine della metafora del padre di famiglia che non può spendere più di quanto incassa. “Non si può vivere al di sopra delle proprie possibilità“, conclude Kohl nella sua lettera.
Con l’entrata dell’Italia nella moneta unica ci sarà quindi il passaggio di testimone dalla Germania all’Italia non solo di queste metafore, ma anche di quelle politiche di macelleria sociali ad esse collegate.
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