Un’altra giornata ad alta tensione si è consumata ieri tra le mura di Palazzo Chigi. E, questa volta, la mela della discordia che ha diviso in Cdm il governo gialloverde è una norma portata avanti dai pentastellati e inserita all’interno del decreto crescita: il Salva Roma.

A seguito dello stop da parte della Lega, che ha stralciato i commi 2, 3, 4, 5, 6, la misura, nata con l’obiettivo di evitare la crisi di liquidità della gestione commissariale di Roma Capitale, è stata approvata a metà in tarda serata, con i commi 1 e 7.

Ma in cosa consiste il decreto Salva Roma e perché è motivo di tensioni e di scontri tra il Movimento 5 stelle e la Lega?

In soldoni, la norma prevede un aiuto dello Stato al comune di Roma per ripianare la situazione debitoria esistente, che ammonta attualmente a 12 miliardi di euro.
Per ripagare il debito storico ogni anno lo Stato già eroga, da anni, un contributo di 300 milioni di euro, mentre 200 milioni vengono ricavati dal Comune dall’addizionale Irpef e da una tassa sui voli che partono dagli aeroporti romani. Questo denaro viene gestito, dal 2009, da un commissario.

Con il Salva Roma chiuderebbe i battenti, a partire dal 2021, la gestione commissariale, e il debito commerciale passerebbe tra le voci del bilancio del Comune. Il debito finanziario invece, il maxi bond da 1,4 miliardi di euro, passerebbe al Ministero del Tesoro.

Secondo il M5S, questa misura rsarebbe a “costo zero” per le casse pubbliche, ovvero senza oneri aggiuntivi per l’Erario e darebbe risparmi, anziché pesare sulle tasche dei contribuenti romani e italiani. Stando a quanto spiegato dal sottosegretario al Ministero dell’Economia e promotrice di quest’operazione, Laura Castelli, lo Stato “si accolla una parte del debito finanziario e riduce i costi che dà alla gestione commissariale. I cittadini italiani non pagheranno l’operazione. In caso contrario ci saremmo trovati nel 2022 con una crisi di liquidità fortissima che avrebbe soffocato la città“.

I risparmi, infatti, secondo i fautori di questa misura, deriverebbero dalla rinegoziazione dei mutui con le banche da parte dello Stato e da una ricognizione del piano di rientro del debito. Tali fondi, come dichiarato precedentemente dalla sindaca di Roma, Virginia Raggi, potrebbero essere utilizzati anche per ridurre tasse come la Tari, attualmente tra le più alte a Roma.

La norma non sembra aver convinto del tutto il leader del Carroccio. Il vicepremier leghista ha tenuto il punto, vedendo nel Salva Roma una norma ad hoc per Roma, a discapito di città come Catania e Alessandria che rischiano il dissesto e per i quali la Lega ha chiesto di estendere le agevolazioni anche a quei comuni.

I debiti della Raggi non saranno pagati da tutti gli italiani ma restano in carico al sindaco” ha detto risoluto Matteo Salvini, dichiarazioni che poi hanno fatto il paio con un’approvazione a metà del decreto nella tarda serata di ieri e con l’ennesimo braccio di ferro con gli alleati di governo.

La partita ora è nelle mani delle Camere, che decideranno le sorti del provvedimento.