Premessa doverosa e per molti dolorosa: qui si parla di campionato, non di altro. Non di delusioni, di tifo spaccato, di Allegri sì e no, di Champions, di lacrime. Qui si parla dell’ottava vittoria consecutiva dello scudetto, parola inventata da D’Annunzio: un piccolo scudo, che in realtà è grande, almeno per chi ama questo sport. Fine della premessa.

Si chiama Juventus, come decisero gli studenti che la fondarono in maglia rosa: gioventù. Poi un giornalista scrisse, tanti anni dopo, che la Juve era un signora squadra e così dalla gioventù di allora, siamo passati alla Vecchia Signora. Che di vecchio, però, adesso non ha niente.

La storia non è vecchia, perchè sempre dalla nostra storia dobbiamo partire per capirci e capire. La Juve è la più giovane società italiana. Per il suo presidente Andrea Agnelli, con quella faccia da ragazzo che ha saltato la lezione, ma soprattutto per le idee e la voglia di rischiare.

La Juve non si ferma, non spolvera le coppe. Ma programma il futuro scavalcando il presente. Non si vincono otto scudetti consecutivi per aiuti arbitrali o sudditanza psicologica, ma per la bravura di tutti, dai dirigenti ai giardinieri. 
Chi avrebbe osato vendere Zidane, chi ha salutato Del Piero e Buffon, chi si è buttato su Cristiano? Sempre la Juventus.

Mi diranno: sei diventato juventino. E invece mi limito ad apprezzare il lavoro svolto da questi signori: lo stadio, la sede, la lungimiranza, Conte e poi Allegri, i calciatori, i giovani pescati ovunque, i parametri zero, da Pirlo a Ramsey. 

Oggi dobbiamo celebrare l’ottavo scudetto consecutivo e, mentre lo facciamo, ci chiediamo: che succederà il prossimo anno e quello successivo e l’altro dopo? La Juve gioca a stravincere, le altre ad andare in Champions, per far contento il cassiere più che la gente. Eppure è semplice: il fatturato aumenta con le vittorie, non altro. 

Ci si chiede anche: è stato lo scudetto di Cristiano? Penso che la Juve avrebbe vinto lo stesso, ma guardarla giocare con quel fenomeno davanti è sicuramente più divertente. 

Per me è lo scudetto di Agnelli e di Allegri, che non farà innamorare (Ambra a parte), ma conosce la strada che conduce alla vittoria. E chi fa sport gareggia per arrivare primo, non secondo, terzo o quarto.

Roberto Renga