Siamo sommersi da domande alle quali non siamo in grado di dare risposte per le nostre conoscenze, salvo dover accettare quelle preconfezionate che ci vengono propinate quotidianamente dai mezzi di comunicazione cosiddetti “mainstream”, ovvero:
quelle televisioni che occupano i primi numeri dei nostri telecomandi;
quei maggiori giornali conosciuti, e quelle radio che, per la maggior parte, ci distraggono con i ritmi del momento inframezzando concetti di facile consumo.

Tutti però percepiamo una drammatica recessione della nostra qualità della vita, soprattutto le generazioni di mezzo che hanno avuto modo di apprezzare negli scorsi decenni un maggiore senso di libertà e di visione ottimistica del futuro, amaramente smentita dall’attualità.

Le nostre domande insolute riguardano tutti gli elementi che concorrono al nostro impoverimento, primo fra tutti l’economia, che è materia assai ostica, e che gli esperti rendono ancor più enigmatica con termini e concetti impossibili da decifrare, e quindi da confutare.

Ma non è tutto così complesso come sembra; soprattutto potrebbe non essere vera la maggior parte della narrazione a reti unificate, potremmo dire dominante, che ci pone indifesi in un angolo, incapaci di comprendere ed eventualmente reagire.

Da oggi, con questo blog e su tutta la rete 4.0 di Radio Radio, cercheremo di comprendere i meccanismi con un linguaggio più semplice, avvalendoci del prezioso contributo di scienziati, scrittori, filosofi, economisti indipendenti, ovvero non conformi al pensiero unico dominante che ha portato negli ultimi decenni al risultato che possiamo valutare ogni volta che scrutiamo il nostro portafoglio.

Per iniziare, incontriamo oggi alla Radio Marco Bersani, filosofo, dirigente pubblico, promotore e fondatore di numerose iniziative di rivalutazione dei beni della collettività (ore 11:00, Un giorno speciale).
Il suo saggio dal titolo “Dacci oggi il nostro debito quotidiano, strategie dell’impoverimento di massa”, spiega in modo comprensibile a tutti la trappola del debito; leggiamo insieme l’introduzione.

“Una montagna alta 44.000 miliardi di dollari.

A tanto ammonta il debito pubblico mondiale nel 2017. In questa classifica speciale, troviamo in vetta Stati Uniti (14.500 miliardi) e Giappone (9.500 miliardi), che da soli raggiungono oltre il 50%, mentre, con i suoi 2.000 miliardi, e il nostro paese a salire sul podio con il terzo posto.

Le cifre sopra riportate riguardano il debito pubblico ovvero quello contratto dagli Stati.

Se a questo aggiungiamo il debito privato dei cittadini, delle famiglie e delle imprese-pari a 152.000 miliardi di dollari – si raggiunge la cifra di quasi 200.000 miliardi di dollari, ovvero almeno tre volte il valore del Pil globale.

Tecnicamente, il pianeta Terra può essere dichiarato in bancarotta.

“Eppure il vento soffia ancora e spruzza l’acqua alle navi sulla prora” cantava un indimenticato Pierangelo Bertoli.

Significa che, dietro questo insieme di cifre “neutrali”, molto deve essere ancora compreso, per capire le ragioni per le quali l’enfasi sul debito sembra essere diventata la cifra della società contemporanea.

Partiamo da un principio: il debito non sarà mai saldato, per oggettiva impossibilità e perché non è mai stato questo l’obiettivo dei creditori.

L’usuraio, nella propria esistenza, teme solo due eventi: la morte del debitore e il saldo del debito, perché, in entrambi i casi, perderebbe un’entrata certa e periodizzata – il pagamento degli interessi – e, al contempo, il potere di disporre dei beni, delle energie, del tempo e della stessa vita del debitore.

Con questa stessa logica, l’obiettivo di tutte le politiche dettate dalle élite economico-finanziarie e adottate ai diversi livelli sovranazionale e nazionale non è la riduzione o la scomparsa del debito, bensì la continua estrazione di valore e la perpetuazione del rapporto di sudditanza dei debitori nei confronti dei creditori.

Inoltre, se nella mia vita avessi contratto un debito di 5.000 euro sarei psicologicamente preoccupato per un motivo molto semplice: date le mie risorse economiche, con qualche fatica sarei in grado di pagarlo.
Ma se il debito contratto fosse pari a 500.000 euro, sarei dal punto di vista psicologico molto più sereno, perché, se la cifra che devo saldare supera esponenzialmente le mie più recondite possibilità di pagarla, chi dovrebbe iniziare a preoccuparsi è il creditore.

Poiché oggi, nel pieno della crisi economico-finanziaria globale, tutti ci ritroviamo nella seconda delle ipotesi sopra accennate, ovvero sommersi da un debito che non potremmo mai pagare, occorre indagare più a fondo sul perché la relazione creditore-debitore continui a essere vissuta come un rapporto fra pari basato sulla lealtà e non invece per quello che è: un rapporto diseguale di potere basato sul ricatto del più forte e sulla rassegnazione del più debole.”

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Fabio Duranti