Tra le notizie secondo cui alcuni dei principali club europei avrebbero discusso l’introduzione di una sesta sostituzione nelle gare di campionato, vale la pena soffermarsi sul punto in cui il calcio si è ritrovato quasi senza accorgersene: una situazione in cui sono permessi “solo” cinque cambi.

Quella che doveva essere una misura straordinaria, introdotta nel 2020 per far fronte al calendario compresso dopo i tre mesi di stop causati dalla pandemia, si è infatti trasformata ben presto in una norma stabile.
E, com’era prevedibile, gli allenatori hanno iniziato a sfruttare appieno questo margine in più. Dall’avvio della stagione 2022-23, quando la Premier League ha reso permanenti i cinque cambi, in oltre il 70% dei casi è stato utilizzato almeno il quarto. È evidente che la possibilità di ruotare gli uomini e intervenire tatticamente in modo più incisivo sia molto apprezzata.

Ma è davvero stato positivo per il calcio?

In conferenza stampa, il tecnico della Roma Gian Piero Gasperini pochi giorni fa si è espresso in questo modo: “Da dopo il Covid il calcio è diventata un’altra cosa. I 5 cambi non mi piacciono perché hanno trasformato questo sport. Potendo cambiare praticamente metà dei giocatori in campo, le squadre non sono più soggette a cali fisici, che erano il contesto in cui alla fine chi era più bravo e resistente vinceva. Ora questo manca completamente“.

Ma l’allenatore ex Atalanta non è l’unico a nutrire delle perplessità su questo nuovo regolamento. Oltre manica, il giornalista del ‘The Athletic’ Micheal Cox è entrato nel dettaglio della questione, analizzando tutte le conseguenze che l’introduzione delle 5 sostituzioni hanno apportato alla Premier League e al calcio in generale.

I sostituti aggiuntivi favoriscono i club più grandi con rose più profonde

Il principio alla base dell’introduzione dei cinque cambi era quello di alleggerire il carico fisico, così da ridurre infortuni e sovraccarichi. È però discutibile che l’obiettivo sia stato centrato: anzi, si potrebbe sostenere il contrario. Tornando indietro di soli 12 mesi, ad esempio, in Inghilterra già sembrava esserci un numero di indisponibili senza precedenti: il Tottenham, attualmente, ha addirittura dieci giocatori ai box.

È vero: non si tratta di un confronto del tutto equo. Nell’“era dei cinque cambi”, i calciatori di alto livello hanno giocato molte più partite ad alta intensità, complice l’ampliamento della Champions League e l’arrivo del nuovo Mondiale per club.

Ma c’è un punto che è stato largamente trascurato: i cambi extra aumentano il ritmo delle partite e le richieste fisiche su chi resta in campo. Il meccanismo è semplice: con zero sostituzioni, l’intensità complessiva sarebbe calibrata sui 90 minuti. Con un numero illimitato di cambi, ciascun giocatore potrebbe dare tutto sapendo di essere rimpiazzato. Con cinque sostituzioni si crea una situazione intermedia: nella parte finale delle gare non è raro vedere dieci giocatori freschi affrontarne dieci stanchi ma costretti a mantenere un’intensità simile a quella dei subentrati. Un tempo i giocatori “di gamba fresca” erano una rarità tattica; ora sono diventati un elemento strutturale del gioco.

È chiaro che il calcio sia diventato via via più rapido da decenni, e i cinque cambi non sono l’unica causa. Ma negli ultimi cinque anni l’accelerazione è stata particolarmente evidente.

Le maggiori opportunità di sostituzione hanno aumentato il ritmo della Premier League (e non solo)

Un’intensità crescente ha conseguenze anche sul piano tattico. A molti piace il calcio veloce, aggressivo, ad alta pressione. Ma il rischio è che la velocità diventi così esasperata da togliere spazio e tempo ai giocatori più tecnici, che hanno bisogno di un attimo in più per controllare, pensare, creare. La sfida eterna del calcio è proprio questa: permettere al talento di emergere nonostante il ritmo.

Qui, però, sorge il dubbio: non stiamo forse assistendo a un ritmo artificiale, gonfiato da un numero troppo alto di sostituzioni?
I top 5 campionati europei, quest’anno, hanno offerto un livello di gioco sorprendentemente povero: molte squadre cercano soluzioni più nelle palle inattive che nelle giocate dei trequartisti, che spesso faticano a incidere.

Più cambi significano più vantaggi per i club ricchi

C’è poi la questione dell’equità sportiva. Un numero maggiore di cambi favorisce inevitabilmente le squadre con più risorse.

I club ricchi hanno panchine di qualità superiore e poter inserire cinque ricambi di alto livello (invece di tre) può sovrastare nettamente le formazioni più modeste. Certo, conta il rapporto tra il subentrante e chi viene sostituito; ma è innegabile che società come l’Inter, con una rosa costruita per competere su più fronti, traggano beneficio dalla regola molto più di un club come il Pisa. Non stupisce che proprio le big siano le più interessate a spingere verso un eventuale sesto cambio.

C’è anche un effetto strutturale sulla composizione delle rose. Le limitazioni al numero dei tesserati cercano di arginare l’accumulo di calciatori, ma se un allenatore può utilizzare 16 giocatori a partita invece di 14, i grandi club hanno più margine per tenere tutti coinvolti. Lo stesso vale per la panchina allargata: in Premier League è salita a 20 elementi, e in altri campionati addirittura a 23.

La regola dei cinque cambi ha reso più difficile la vita alle neopromosse?

Pep Guardiola sostiene che in panchina dovrebbero poterci andare tutti, così da mantenere alta la partecipazione interna. Ma, complessivamente, sarebbe forse più sano se i giocatori ai margini cercassero spazio altrove, invece di restare bloccati nelle grandi squadre.

Micheal Cox, focalizzandosi sul campionato, ha mostrato come, di fatto, l’impatto di questa situazione sulle neopromosse sia stato evidente: le ultime sei salite dalla Championship sono retrocesse immediatamente. L’Ipswich Town (due promozioni di fila) nella stagione passata sarebbe stato 17° nella “classifica del girone d’andata”, ma 20° in quella relativa al ritorno. È crollato per questioni tattiche? Gli avversari hanno imparato a leggerlo? O, più semplicemente, ha pagato il fatto che l’era dei cinque cambi premia i club già consolidati, con maggiore profondità di rosa?

Cinque cambi sono troppi?

C’è infine una considerazione più “romantica”: il calcio, in parte, è sempre stato una prova di resistenza e adattamento. Certo, i cambi sono necessari per gestire infortuni e ritoccare l’assetto di una squadra. Ma cinque sembrano aver superato la soglia dell’utilità, producendo effetti quasi opposti a quelli desiderati.

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