INTERVISTA – Walter Sabatini è una delle figure più iconiche e rispettate del calcio italiano. Dopo gli inizi come collaboratore nel settore giovanile della Lazio, dove ha contribuito alla crescita di talenti come Alessandro Nesta e Marco Di Vaio, la sua carriera da direttore sportivo è diventata un viaggio ricco di intuizioni, successi e qualche polemica.
Dalla Triestina all’Arezzo, dal Perugia di Cosmi fino alla Lazio e poi alla Roma, Sabatini ha costruito squadre memorabili e scoperto campioni come Pastore, Lamela, Salah, Alisson, Benatia, Nainggolan, Džeko e tanti altri.
Il suo stile è sempre stato inconfondibile: passione, sensibilità calcistica e un’idea di calcio profondamente umana, dove contano tanto la tecnica quanto il sentimento.
In un’intervista rilasciata durante l’ultima puntata di Radio Radio Mattino – Sport e News, Walter Sabatini ha commentato l’attualità della Serie A, soffermandosi su Roma, Juventus, Milan e sul valore – non solo tecnico – dei calciatori di oggi.
E come sempre, le sue parole non sono mai banali.
La Roma ha qualche difficoltà in attacco: Zirkzee o Kalimuendo potrebbero essere la soluzione giusta, la panacea di tutti i mali?
«La panacea non si trova con un solo calciatore. I problemi si risolvono con la mentalità di squadra, con l’impatto del gruppo sull’avversario. E la Roma, in realtà, lo sta facendo. Si sta avvicinando a un livello tecnico-tattico apprezzabile: gioca un calcio più offensivo, tiene la palla, fa cose belle. Stanno emergendo giocatori che finora erano in penombra.
Più che un attaccante – che serve, certo – la Roma deve consolidare la mentalità e la condizione che ha oggi in campo. I miglioramenti che mostra partita dopo partita sono un segnale importante: forse è proprio questo equilibrio interno a renderla così competitiva».
Quindi non è il singolo a fare la differenza?
«A meno che non sia Haaland. Ma, per il resto, non posso esprimere giudizi sui giocatori: non è deontologicamente corretto. Sono un dirigente, anche se disoccupato. Non un giornalista. Non posso farlo, non sarebbe giusto».
Come ti saresti comportato con Vlahović, considerando il suo contratto in scadenza con la Juventus?
«Vlahović è un giocatore molto forte, importante. La Juventus ha fatto bene a puntarci, ha investito tanto su di lui e lo ha aspettato. Io credo che i giocatori dovrebbero affezionarsi alla maglia, non solo baciarla quando fanno gol. Quelli sono gesti simbolici ma ruffiani, non contano nulla.
Serve affetto vero, rispetto reale per il club in cui giochi. Vlahović deve molto alla Juventus. E ripeto: i soldi sono importanti, lo sappiamo tutti, ma non possono essere sempre decisivi. Ci vuole sentimento, amore, stima, ma soprattutto riconoscenza. È una virtù che oggi, purtroppo, si è un po’ persa. Eppure nel calcio – come nella vita – dovrebbe contare di più».
Cosa manca alla Juventus per tornare competitiva ai massimi livelli?
«Non posso esprimermi in modo diretto, non sarebbe corretto. Non sono coinvolto e non conosco tutti i dettagli della situazione. Se lo facessi, sarei poco sportivo e anche un po’ maleducato.
Però una cosa posso dirla: alla Juve manca un po’ di qualità e forse anche di profondità. Un paio di centrocampisti in più sarebbero un toccasana».
E il Milan? Dove deve migliorare secondo te?
«Deve migliorare nell’attenzione. Non vedo un ruolo specifico in cui intervenire, ma credo che il problema principale – per il Milan come per tutte le squadre, Roma compresa – siano gli infortuni.
Gli infortuni muscolari stanno diventando determinanti: non c’è partita in cui non esca un giocatore per un problema fisico. E chi esce, torna dopo un mese e mezzo in condizioni diverse, peggiori. Questo sta condizionando il rendimento di molte squadre e, di conseguenza, anche gli esiti del campionato».
La Roma può davvero lottare per lo scudetto?
«Mi sembra che la Roma sia entrata in grande sintonia interna: allenatore e squadra, compagni fra loro. C’è collaborazione, disciplina tecnico-tattica e soprattutto voglia di vincere.
Il vincere non è una scelta, è una necessità per una squadra come la Roma. E i giocatori lo stanno interpretando bene: si aiutano, si sostengono. Ogni domenica cresce questa coesione interna che, secondo me, farà la differenza durante il campionato».










