Chi era Shakespeare? “Si chiamava John Florio ed era italiano” ▷ “La propaganda: la madre di tutte le bugie”

Quanti di voi pensavano di conoscere la vera identità del drammaturgo più celebre della cultura inglese e di quella occidentale? Colui che è riuscito a realizzare delle opere dall’impronta immortale, come Romeo e Giulietta, Amleto, Macbeth e Sogno di una notte di mezza estate.

L’identità di William Shakespeare è stata a lungo dibattuta da studiosi provenienti da ogni parte del globo e i primi dubbi sono sorti intorno al 1800.

Il regista Stefano Reali presenta il libro SHAKESPEARE ÆNIGMA, La Prima Incarnazione di John Florio in diretta a Lavori in Corso con Stefano Molinari. Le ricerche del regista sull’identità del drammaturgo cominciano 12 anni fa e rivelano una verità celata per secoli dai poteri più forti, tra cui ovviamente, la monarchia inglese.

“A Londra fra il 1560 e il 1590, nasce la propaganda: la bugia su Shakespeare cosi come l’inglese moderno, è frutto del lavoro di un gruppo di italiani, che erano fuggiti dall’inquisizione e soggiornavano a Londradice Stefano Reali “dove c’era una comunità di 2000 italiani: l’eccellenza dei migliori giuristi, musicisti, letterati, poeti, avvocati e commercianti. Hanno costruito una cellula di cultura che creava reddito, molto reddito”.

Stefano Reali ci racconta di una menzogna durata per ben 4 secoli e di un lavoro di seppellimento e oscuramento della verità, magistrale, che è durato fino ad oggi. “I fatti, i personaggi e i dati su chi ha scritto le opere, sono tutti autentici” dice il regista “la propaganda è stata la madre di tutte le bugie e ha preso potere nell’unico paese che era libero dal Vaticano e dove si rifugiarono elitè e lobby, che hanno costruito un sistema di menzogna pubblica. Perchè? Per creare un poeta nazionale e soprattutto una lingua poetica che l’Inghilterra non aveva”.

Nel suo libro Reali rivela che il suo professore di filosofia all’Università di Oxford era niente di meno che Giordano Bruno. Il filosofo italiano venne bruciato vivo al rogo nella Piazza di Campo de Fiori a Roma, per opera dell’Inquisizione. Bruno venne condannato per non aver rinnegato le sue teorie filosofiche (tra cui quella degli universi paralleli) e venne giustiziato come eretico. “Fu proprio Bruno a dire a Florio di investire sul teatro, perché a quel tempo era il lavoro che creava più soldi: ma servivano delle trame”.

Non è infatti una coincidenza che ben 21 opere su 39 di Shakespeare o per meglio dire Florio, fossero storie italiane e ambientate in Italia. I drammi italiani redatti da Florio sono infatti ricchi di dettagli, toponomastiche “per esempio su come sono fatte le vie, che distanza c’è tra la casa di Giulietta e la chiesa dove si sono sposati” dice Reali “che apparentemente sembrano irrilevanti ma erano un modo con cui l’autore ha fatto capire che nessuno che non fosse stato sul posto poteva conoscere quei dettagli”.

Quei dettagli, che non erano altro che dei segni che Florio aveva lasciato per rivendicare la legittimità delle proprie opere, frutto di un’arte e di un’eccellenza tutta italiana. Le impronte che l’autore lasciò nei suoi testi vennero riconfermate anni dopo dagli studiosi del tempo, che attraverso i loro viaggi in Italia, constatarono che le indicazioni topografiche e geografiche corrispondevano tutte.

“Florio non poteva firmare i suoi testi, perché era un immigrato e si sarebbe dovuto scontrare con l’ostilità dei drammaturghi inglesi, in più era figlio di un ricercato dell’inquisizione” dice Reali “affidò quindi i copioni a un ragazzo analfabeta di nome Shakespeare, il quale non aveva nemmeno la terza media. Non si sarebbe mai aspettato che avrebbe costruito ciò che ha costruito”.

Quindi se il vero drammaturgo e autore delle opere si chiamava John Florio, chi era Shakespeare? “Un imprenditore teatrale, un presta soldi” conferma Reali “quando Florio cominciò a pubblicare i suoi drammi con il nome di Shakespeare, tutti gli altri drammaturghi erano arrabbiatissimi: perché lui stava dando fama e ricchezza a qualcuno che in realtà li strozzava, perché era un imprenditore”.

“Di tutti gli autori elisabettiani e anche quelli meno conosciuti, abbiamo tutti gli autografi e lettere di auguri: di Shakespeare non abbiamo nulla, solo sei firme tremolanti e tutte scritte su contratti commerciali come vendite o affitto di case” dice Reali “nel suo testamento non fa neanche cenno di lasciare dei libri. Mentre nel testamento di Florio ci sono 340 libri non inglesi e poi anche quelli inglesi: una biblioteca più ricca di quella di Oxford“.