Farina di grilli: ecco come la globalizzazione sta cercando di impossessarsi della nostra identità

E’ Marchigiana la prima azienda italiana a produrre e a commerciare farina di grilli. ‘Nutrinsect‘, questo è il nome emblematico della prima azienda italica autorizzata a produrre e a vendere alimenti a base di insetti. E dire che le marche, a dire il vero, sono sempre state un fortilizio resistenziale di prim’ordine per l’identità anche gastronomica contro la globalizzazione sradicante e livellante.
Ebbene sì, le imposizioni della globalizzazione giungono ora anche in Italia, che da sempre è, se vogliamo dire così, il cuore dell’identità gastronomica e del mangiar bene, oltre che di quella che va sotto il nome di dolce vita. Come più volte ho ricordato, il piatto unico gastronomicamente corretto che la globalizzazione vuole ora imporci non è nient’altro se non la variante a tavola del pensiero unico politicamente corretto. L’obiettivo mi pare in ultima istanza duplice.

In primo luogo, sfamare a basso costo le nuove masse ilotizzate, destinate a crescere sempre più grazie ai processi connaturati alla logica illogica di sviluppo del capitalismo stesso. In secondo luogo, l’obiettivo mi pare da ravvisarsi nella distruzione dell’identità, a partire dalla tavola. Per imporre in tal guisa il nuovo profilo antropologico dell’uomo sradicato, o se preferite dell’uomo vacus, l’uomo svuotato di ogni identità, vale a dire l’uomo che non avendo più una sua identità potrà perciò stesso assumere tutte quelle che la tecnica vorrà di volta in volta imporgli. La resistenza dunque, mi pare di poter dire, oggi più che mai parte dalla tavola. Perché aveva davvero ragione Feuerbach, allorché scriveva che l’uomo è ciò che mangia.
Al di là di questa posizione prima faci e soltanto materialistica, l’uomo è ciò che mangia anche perché nel nostro mangiare si cristallizza la nostra identità. Se perdiamo la nostra provenienza, allora perdiamo anche la nostra progettualità. Non sappiamo più d’onde veniamo, dove siamo diretti e dove ci troviamo attualmente.

Variando Mao, davvero anche la globalizzazione non è un pranzo di gala. E per questo la sacrosanta battaglia contro il capitalismo deve essere anche una battaglia in difesa dell’identità come scrigni di cultura, come baluardi di resistenza, come fronti dell’opposizione a ciò che il turbocapitalismo vorrebbe farci essere, cioè individui vuoti, gusci svuotati di ogni senso. Ecco perché il cibo è così platealmente preso d’assalto nell’ordine della globalizzazione neoliberale.
Perché il cibo è il primo luogo in cui si cristallizzano le culture e le identità. Noi siamo davvero ciò che mangiamo nell’accezione Feuerbchiana perché nel nostro modo di mangiare si cristallizza il nostro senso dell’essere al mondo. Non c’è civiltà senza cibo.

E anche il gesto così apparentemente solo materialistico del mangiare in realtà è un gesto fortemente identitario e culturale. Diciamo di più che il mangiare non è soltanto un gesto materiale. Dire che noi siamo ciò che mangiamo vuol dire riconoscere che la nostra identità si sedimenta anche nella tavola.
La globalizzazione fa valere, in luogo della tradizionale gastronomia, una sorta di inedita gastronomia, un caos anarchico anche a tavola. La deregulation investe in tal guisa anche lo spazio dell’alimentazione, ridefinendolo in funzione dei mercati e naturalmente del grande profitto delle multinazionali, quello che vorrebbe spazzare via per sempre le produzioni locali, e le culture locali, in modo che prevalga sempre e solo l’anonimato dei mercati apolidi.

Radioattività – Lampi del pensiero quotidiano con Diego Fusaro