‘Non al denaro, non all’amore né al cielo’: storia del cantico di un diverso dedicato ai diversi

Cosa succederebbe ‘se ti tagliassero a pezzetti‘ e ogni pezzetto di te stesso diventasse una canzone? Probabilmente staresti componendo un concept album e molto probabilmente non raggiungerebbe mai la grandezza di ‘Non al denaro, non all’amore né al cielo‘ di Fabrizio De André.
Corre l’anno, come si comincia nei migliori antefatti, 1943. Una giovanissima Fernanda Pivano si accinge alla pubblicazione di un testo fino ad allora sconosciuto ai molti della letteratura italiana, tradotto penna a penna con un certo Cesare Pavese. La scrittrice genovese all’alba di una luminosa carriera letteraria non sa, o non si aspetta, che la prima pubblicazione della sua vita le costerà anche la prima censura della sua vita: il 9 Marzo del 1943 viene pubblicato da Einaudi, per la prima volta in Italia, ‘Antologia di Spoon River‘: una raccolta, scritta da Edgar Lee Masters, di 153 epitaffi dedicati agli abitanti di uno stravagante paesino immaginario. Verrà sequestrato dopo qualche giorno dalla sua pubblicazione e censurato per immoralità. La Pivano dichiarerà anni dopo, quando esprimere un’idea non era più faccenda da fuorilegge, che quello fu “un libro proibito che conteneva tutto quello che il governo non ci permetteva di pensare, parlava di pace e amore, si scontrava con gli ideali bellici e con qualsiasi forma di convenzionalismo

28 anni dopo, Roma. Fernanda Pivano incontra e intervista un giovane cantautore, genovese a sua volta, che ha appena musicato le pagine più significative dell’antologia di Masters (e si accinge a riscrivere quelle del cantautorato e della letteratura italiana) rendendole “a tratti più belle delle originali“, citando testualmente la Pivano. Si trovano l’una di fronte all’altro due libertari, precursori di una rivoluzione artistica silenziosa: la traduttrice dei testi proibiti d’oltreoceano e il cantore dei diversi, degli ultimi, degli emarginati.
Fabrizio De André scelse per la creazione del suo terzo concept album, dopo ‘Tutti morimmo a stento‘ e ‘La buona novella‘, nove poesie tratte dall’Antologia di Spoon River e ne rielaborò i testi a quattro mani con Giuseppe Bentivoglio, creando un racconto nuovo, sincero, sofferente.
Non all’amore, non al denaro né al cielo‘ ci mette di fronte otto figure tormentate che comunicano con noi da un mondo che non ci appartiene, da una dimensione che di materiale ha ben poco. Proprio questa dimensione ultraterrena in cui rimbomba l’eco delle loro parole, rende queste ultime sincere, spassionate, le trasforma nei racconti di chi non ha nulla da perdere e nulla da aspettarsi.

Ogni canzone abbandona le forme canoniche del testo e ne assume quelle di una confessione intima e inquieta, i personaggi che hanno condiviso in vita i luoghi di Spoon River e ora dopo la morte si avvicendano nella narrazione dell’album di De André ci raccontano storie di sofferenza ed emarginazione, volteggiano sulle nostre teste in cerca di una rivalsa che in vita non hanno mai ottenuto.
I due macro temi che hanno fatto da bussola ai due autori, a detta dello stesso Faber, nella creazione del disco sono l’invidia e la scienza.
Ai fini di una corretta interpretazione, possiamo suddividere ‘Non all’amore, non al denaro né al cielo’ in due gruppi di personaggi che fanno riferimento a due rispettivi macro temi.

De André definisce l’invidia come “il sentimento umano in cui si rispecchia maggiormente il clima di competitività, il tentativo dell’uomo di misurarsi continuamente con gli altri, di imitarli o addirittura superarli per possedere quello che lui non possiede” e i personaggi che ne derivano sono: ‘Un matto’ che per invidia studia l’enciclopedia britannica a memoria e finisce in manicomio, ‘Un giudice’ nano che per invidia raggiunge abbastanza potere da umiliare chi l’ha umiliato, ‘Un blasfemo’ che è un esegeta dell’invidia e per salirne alle origini la va a cercare in Dio mettendolo in discussione a tal punto da farsi torturare.
L’alternativa a questi personaggi divorati dai propri malanimi è rappresentata da ‘Un malato di cuore’ che, pur essendo nelle condizioni di essere invidioso nei confronti di tutti coloro che riescono a “bere alla coppa d’un fiato” e non “a piccoli sorsi interrotti” decide di non lasciarsi travolgere da alcun sentimento negativo e si abbandona ad un amore che lo guiderà verso la morte più dolce che un cuore trasandato possa incontrare.

La scienza invece, nell’immaginario di De André e Bentivoglio assume la sagoma del “classico prodotto del progresso, che purtroppo è ancora nelle mani di quel potere che crea l’invidia e che non è ancora riuscita a risolvere problemi esistenziali” di personaggi come: ‘Un medico’ che ha cercato di curare i malati gratis ma non c’è riuscito perché il sistema non glielo ha permesso, ‘Un chimico’ che per paura si rifugia nella legge e nell’ordine come fatto repressivo e ‘Un ottico’ che vorrebbe trasformare la realtà in luce e si trasforma in uno spacciatore di illusioni.
L’alternativa che si contrappone a questo filone di maschere è il personaggio più libero del gruppo di dannati: ‘Il Suonatore Jones’.
Jones, il suonatore di violino, è uno che i problemi esistenziali se li risolve, e se li risolve perché, ancora, è disponibile. È disponibile perché il suo clima non è quello del tentativo di arricchirsi ma del tentativo di fare quello che gli piace: è uno che sceglie sempre il gioco, e per questo muore senza rimpianti, è uno che sceglie la libertà

La verità è che, a discapito di qualsiasi interpretazione che risulterebbe riduttiva nei confronti di un tale prodotto dell’immaginazione, ognuno di noi, almeno una volta nella propria vita è stato un matto, o un giudice, o un blasfemo.
Chiunque stia leggendo in questo momento sa di essere stato, anche soltanto per un momento, un ottico spacciatore di sogni o un medico illuso che pensa di poter donare senza ricevere.
Fabrizio De André in ‘Non al denaro, non all’amore, né al cielo’ ci ha donato otto maschere, otto costumi, da poter indossare in ogni istante. Ci ha scaraventati con dolcezza nella nostra natura di uomini deboli e tormentati, di tanti piccoli ingranaggi di un sistema che lascia indietro il diverso, l’emarginato, il debole.

Fabrizio De André ci ha raccontato di noi come neanche noi saremmo stati in grado di fare e, con tutta probabilità, come nessun altro sarà mai più in grado di fare. E per questo, gli saremo grati in eterno.