La Egonu torna in Italia: alla faccia del razzismo e del paese retrogrado

Leggo con un certo stupore sul Corriere della Sera che Paola Egonu è stata ingaggiata per la pallavolo in una squadra a Milano che le riconoscerà un tributo di un milione di euro a stagione.
Sono naturalmente, per quel che può valere, molto soddisfatto per lei.
E tuttavia mi pongo alcune questioni che voglio condividere con voi.
Anzitutto, prima questione. Possiamo dunque dedurne che finalmente il razzismo dilagante in Italia, secondo Paola Egonu, è stato debellato? Sì, perché ella sosteneva, non molti mesi addietro, che l’Italia fosse un paese intrinsecamente razzista, un paese ostile allo straniero, un paese abitato da gretti abitatori che in qualche modo erano ancora animati da pulsioni razziste.

Ebbene, pare che ora il razzismo sia stato debellato, se è vero, come è vero, almeno così dice il Corriere della Sera, che Paola Egonu non solo non è stata trattata secondo moduli razzisti, ma è stata assunta con uno stipendio di un milione di euro a stagione.
Ce ne rallegriamo davvero. Vuol dire che il razzismo, grazie anche agli appelli di Paola Egonu, è finalmente sparito e le torme di italiani razzisti si sono convertiti alle migliori ragioni della globalizzazione neoliberale.
Il secondo aspetto sul quale voglio insistere, connesso al primo, è che questa narrazione dell’antirazzismo in assenza di razzismo, è palesemente demenziale. Lo dico non perché non ritenga il razzismo una cosa orrenda.
Il razzismo è una cosa orrenda, disgustosa e come tale degna di essere combattuta.

Ma l’antirazzismo, in assenza di razzismo, proprio come l’antifascismo in assenza di fascismo, finisce per essere sic et simpliciter una risorsa di legittimazione dell’orrore del neoliberismo e della sua violenza quotidiana di tipo economico.
Se l’anti razzismo era una pratica sacrosanta al tempo dell’apartheid o delle discriminazioni in America, che senso ha oggi presentare l’anti razzismo come figura fondamentale in un paese come l’Italia in cui per fortuna il razzismo non esiste più se non come serie di piccoli episodi marginali che evidentemente non riguardano il problema prioritario del nostro Paese?
Come far capire a masse di operai, di lavoratori precari o di sfruttati che il problema fondamentale è il razzismo o il fascismo e non il manganello invisibile dell’economia di mercato e del capitalismo che quotidianamente li sfrutta e li condanna a vivere a tempo determinato?

Come far sì che le masse riescano davvero a convincersi che il problema prioritario è il razzismo e non il capitalismo?
Diciamolo apertis verbis l’antirazzismo in assenza di razzismo, altra cosa è il sacrosanto antirazzismo in presenza di razzismo, finisce per essere una delle tante modalità con cui la plutocrazia neoliberale in alto riesce a dividere il basso, creando una sorta di conflittualità orizzontale interna alla medesima classe.
Riesce a far sì che, anziché salire verso l’alto, unitamente dal basso, la rabbia di quest’ultimo resti imprigionata nel basso stesso e si divida allora secondo dicotomie buone solo a mantenere il dominio dell’altro.

Bianchi e neri, omosessuali ed eterosessuali, donne e uomini e così via.
Tutte categorie che unite dovrebbero combattere contro l’alto, contro il capitale e che invece, guerreggiando in orizzontale fra loro grazie alla narrativa prodotta dagli intellettuali di completamento del capitale, e in tal guisa fanno sì che il capitale in alto e le sue classi possano dormire sonni tranquilli, indisturbate da una lotta che resta proiettata solo nel l’orizzontalità dei conflitti settoriali in basso.

Radioattività, lampi del pensiero quotidiano – Con Diego Fusaro